Il servizio sociale in Brasile e in Italia
Da un confronto all'ipotesi di avvio di "missioni di interscambio"
di Anna Maria D’Ottavi
Nell’aprile scorso, su iniziativa di Maria Stefani [1], e all’interno di una più vasta manifestazione che l’ISTISSS ha promosso in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e alla Famiglia dell’Amministrazione Provinciale di Roma, è stato promosso un “Confronto Italia Brasile sul Servizio Sociale”, ed è stato presentato il quaderno delle Sintesi delle Conferenze e delle Ricerche per il Lavoro nel Servizio Sociale Brasiliano[2].
L’iniziativa si è ispirata a un filone di interesse che da tempo l’Istituto[3] e la Rivista rivolgono alla “sfida” che la mondializzazione dell’economia pone alle politiche sociali, ai servizi e agli operatori sociali: sfida che deve essere affrontata innanzi tutto in termini di scambio di conoscenze, esperienze, riflessioni – la mondializzazione delle idee – e poi di operatività.
Interesse che si è rivolto dapprima ad una riflessione su come tale sfida possa e debba essere utilmente raccolta ed elaborata per rapporto alla organizzazione dei servizi nel senso che l’operatore sociale è stato ri-conosciuto non solo come protagonista sia della continuità che del cambiamento nelle politiche sociali e nella organizzazione dei servizi alla persona; ma anche come punto di snodo e raccordo di vecchie e nuove forme di socialità (come armonico vivere associato capace di garantire a tutti l’esercizio attivo della cittadinanza).
Si dice ri-conosciuto, in particolare per quanto riguarda l’Italia (ma questo è proprio uno dei punti su cui occorre confrontare diacronicamente e sincronicamente le prassi esperite dal servizio sociale nei vari Paesi) sembra essersi persa quella enfasi sul rapporto stretto tra servizio sociale e democrazia che era stata posta nell’immediato dopoguerra, nella aspra e durissima fase della ricostruzione in cui all’assistente sociale veniva affidato l’obiettivo di quella “ricostruzione delle persone” senza la quale non sarebbe stata possibile la ricostruzione del Paese.[4]
E’ come se si faticasse talvolta a ricordare, oggi, i fondamenti del quel nesso, pur nella certezza di possedere tutti gli elementi e le risorse per ri-trovarlo. “La crisi del servizio sociale è cominciata molto presto: già negli anni ’50 c’era chi ne scriveva con rammarico e tristezza; in realtà le crisi sono state tante e quello del servizio sociale è stato un cammino che qualcuno ha paragonato ai fiumi carsici, che scorrono limpidi tra belle vallate, ma poi scompaiono per riapparire dopo molti chilometri, a volte con un andamento diverso”.[5]
Tutto ciò nella consapevolezza che “nella fase di passaggio economico-culturale-sociale che ha visto un percorso altalenante (esperito purtroppo spesso per tentativi ed errori, da “apprendisti stregoni” del sociale), dal concetto di assistenza a quelli di solidarietà, protagonismo sociale, cittadinanza, con-partecipazione, eccetera, chi opera nel campo del sociale ha acquisito la consapevolezza di dover essere innanzi tutto figura capace di coniugare vecchi saperi professionali con nuove prassi operative” [6]. Nuove prassi operative che, dal confronto di esperienze e dalla circolazione di idee, dovrebbe consentire al lavoratore sociale di qualsiasi Paese (nelle più diverse condizioni oggettive e soggettive, in presenza di differenti sistemi politici, economici e sociali), mai il “tecnico del consenso”, ma sempre l’animatore del capitale sociale del luogo ove opera.
Capitale sociale che, come ormai si va concordando da più autori è rappresentato da quel “reticolo di relazioni cooperative (…) retto da fiducia e norme di reciprocità e caratterizzato da una certa stabilità nel tempo. (…) Tessuto di valori, norme, istituzioni e associazioni che permettono e sostengono l’impegno civico, contraddistinto da solidarietà, fiducia reciproca e tolleranza diffuse” e i cui principali elementi sono, appunto, la fiducia, le reti sociali, l’impegno civico.[7]
Questo interesse aveva portato, nel 2002 a Montpellier (Francia), nell’ambito della Conferenza dell’Associazione Internazionale delle Scuole di Lavoro Sociale intitolata a “Cittadinanza e formazione dei lavoratori sociali nella mondializzazione”, a discutere all’interno di un workshop dedicato a “Immagine e realtà del lavoro sociale: piste per l’evoluzione della formazione”, un documento appositamente predisposto[8] in cui ci si soffermava sulla possibilità di immaginare un “modello universale di welfare sostenibile”, non sotto il profilo economico (il che sarebbe improponibile e irrealizzabile), ma sotto quello di un welfare “multiforme”, capace di scegliere e assumere come modello dei servizi le indicazioni, le scelte e le volontà delle comunità locali, che sono esse stesse necessariamente multiformi. Allontanandosi dalla prospettiva di un welfare unitario (chiuso su se stesso in ciascun un Paese solo) la riflessione allargata e tendente all’accordo e alla condivisione di principi etici comuni, dovrebbe sostenere una operatività orientata verso percorsi di lavoro diversificato. Le municipalità dovrebbero assumere l’impegno di supportare, orientare, verificare i passi verso l’autopromozione di una realtà sociale resa così sempre più attiva: autopromozione, in particolare, di risposte efficaci alla richiesta di servizi sociali come espressione della collettività.
Sulla stessa prospettiva di allargamento della riflessione e dello scambio, se non altro in ambito europeo, sia in forza della Raccomandazione Rec (2001)[9] , sia in prospettiva dell’allargamento dell’EU a 25, anche per la Conferenza Regionale Europea dell’ICSW (International Council on Social Welfare) intitolata a “Le differenti facce della povertà. Lotta all’esclusione sociale” e tenuta a Oslo (Norvegia) nel giugno del 2003, è stato predisposto un documento di riflessione e di approfondimento scientifico dal titolo “Povertà, lavoro sociale e globalizzazione”, la cui versione italiana è stata pubblicata su La Rivista di Servizio Sociale[10].Dal confronto di idee in quella sede è sembrato confermarsi che nell’attuale contesto “vincolato dall’insostenibilità della semplice espansionee diffusione del modello occidentale di welfare, la globalizzazione non può prescindere dal riconoscimento della complessità e delle diversità.
E’ necessaria l’esplorazione comune di nuovi approcci teorico-pratici, contando sul fatto che, nelle fasi di complessificazione della realtà e indebolimento dell’efficacia dei “pensieri forti”, le esperienze precarie divengono fonti di ricchezza e, spesso, luoghi di nuova conoscenza.
Nell’ambito delle politiche sociali, il passaggi dai rigidi sistemi di welfare state occidentali alle reti di caring society può e deve essere arricchito dalle esperienze dei paesi poveri (poveri di cosa?)”.[11]
Il social worker, si è riflettuto, può e deve essere uno degli attori e spesso il promotore dell’inversione di tendenza rispetto al crescente gap tra Paesi ricchi e Paesi poveri e tra ricchi e poveri all’interno dello stesso paese, “se è vero che forse l’unica forma tendenziale di uguaglianza è quella che passa attraverso il riconoscimento e la concreta attuazione dei diritti umani fondamentali, fra cui abbiamo ormai imparato ad includere – nel locale come nel globale – i diritti sociali”.[12]
Da questi scambi internazionali che si andavano intensificando, è dunque ovviamente emerso che la circolazione delle idee, la “mondializzazione” delle idee, specie quando si tratta di scienze sociali applicate, non può riguardare solo la scientificità delle teorie (troppo lontane a volte dalla incisività delle politiche sociali e dalla concretezza quotidiana del lavoro sociale), ma deve anche mettere a confronto le prassi operative.
A questo scopo l’ISTISSS, in collaborazione con C.I.F. Italia, membro del Council of International Fellowship, ha tenuto a Roma nel settembre del 2003 un incontro di studio su “Servizi ed Operatori Socio-Sanitari di Altri Paesi”, nell’ambito di un programma di promozione di scambi culturali e professionali tra operatori sociali di diversi Paesi, con lo scopo precipuo di collaborare a raggiungere una comprensione maggiore tra i popoli. In tale incontro di studio si sono confrontate le prassi operative e le retrostanti acquisizioni teoriche di operatori sociali provenienti dal Camerun, dal Ghana, dalla Lettonia, dalla Norvegia e di operatori sociali e amministratori italiani, nei settori dell’assistenza alle famiglie multiproblematiche; dei servizi di riabilitazione per disabili; della terapia familiare ed assistenza ospedaliera; dei servizi per minori; dei servizi per la lotta all’emarginazione.
E’ stata poi promossa, nel novembre 2003, in collaborazione con il CILAP-Eanp Italia, e con il patrocinio della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre, la conferenza della Social Platform “Verso un’Europa di tutti. La partecipazione delle organizzazioni della società civile nel processo di costruzione della nuova Europa”, allo scopo di “adoperarsi per rafforzare sempre più il contributo sostanziale che le Organizzazioni del volontariato e del Terzo Settore – sia a livello nazionale che europeo – possono apportare per vincere questa grande scommessa. Queste organizzazioni, infatti, non solo combattono contro l’esclusione sociale dei gruppi più svantaggiati della nostra società, ma promuovono e difendono tutti quei diritti sociali, politici, economici e culturali che devono essere garantiti a tutti. (…) Si fanno promotori di richieste collettive, elaborano proposte, scambiano informazioni e buone pratiche, contribuendo al rafforzamento, alla stabilità e alla coesione sociale”[13]
Sempre nell’intento di facilitare la comprensione tra le diverse culture del mondo anche attraverso i contatti tra operatori sociali di diversi Paesi e l’accrescimento e l’aggiornamento della loro cultura professionale nello scambio delle esperienze, nel giugno del 2004 l’ISTISSS, in collaborazione con C.I.F. Italia, e con il patrocinio del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Roma Tre, ha organizzato il secondo incontro di studio su “Servizi ed operatori socio-sanitari di Altri Paesi: Bangladesh e Filippine”. Nell’incontro operatori, docenti e studenti italiani hanno potuto confrontarsi con una operatrice sociale Bengalese ed una Filippina che, trovandosi in Europa per aver frequentato un Master Internazionale in Svezia, hanno scelto l’Italia per una riflessione comune sullo stato dei servizi sociali dei rispettivi Paesi, con particolare riferimento alle conseguenze pratiche dei flussi migratori e alle politiche per l’emigrazione e l’immigrazione dei Paesi diversamente coinvolti (a seconda delle fasi storiche, politiche, economiche, e degli effetti della globalizzazione).
Si è poi riflettuto anche sulle pratiche che localmente, ma ormai in molti Paesi del mondo (si pensi, ad esempio, al microcredito) si diffondono e danno luogo a esperienze di caring society, al ruolo delle ONG nell’attuazione di tali pratiche, alla funzione “destrutturante” che tali pratiche possono avere rispetto a vecchi, artificiosi e profondamente ingiusti equilibri politico-economici.
E’ stato poi possibile, grazie alla partecipazione al 36esimo congresso dell’Istituto Internazionale di Sociologia, tenuto a Pechino (Cina) nel 2004, approfondire la riflessione teorica sulla ricerca sociale applicata ai servizi alla persona, nell’ottica del passaggio dalla “illusione” di un Welfare State mondiale a quella, appunto, dei sistemi di caring society.
La ricerca sociale, proprio in quella che è stata definita la sua “svolta pratica”[14], nella sua attenzione alle pratiche degli attori sociali, ma anche nella sua finalizzazione a suggerire rimedi praticabili, ha in, quella riflessione teorica, ritrovato la sua connessione con la prassi. “La ricerca sociale applicata all’ambito del sistema dei servizi assume nuove centralità nel suo carattere di componente circolare tra pensiero, azione, rilevazione critica e ri-progettazione delle politiche e del lavoro sociale”.[15]
Si tratta ora però, di rendere più frequenti, stabili nel tempo e fruttuose sia le esperienze di scambio tra studiosi che quelle tra operatori di base, tra coloro che operano quotidianamente nei servizi alla persona. A questo scopo il Dipartimento di Servizio Sociale dell’Università Federale di Pernambuco ha preso l’iniziativa, di estremo interesse a parere di chi scrive, che è stata presentata nella giornata di cui si è detto all’inizio. Iniziativa sulla quale sembra utile spendere qualche altra parola di approfondimento, sia pur senza dilungarsi, perché suggerisce un metodo, che può essere una sorta di “uovo di colombo” per chi voglia massimizzare la proficuità degli scambi di studio e esperienze..
In quella Università (e si dovrebbe poter fare in ogni Università e in ogni istituto di ricerca e formazione dei Paesi interessati all’interscambio) si prepara la missione facendola precedere da un corso e da una serie di conferenze per gli studenti e gli operatori interessati, tenuti da docenti che faranno anch’essi parte della missione, sulla lingua, sulla cultura, sulla storia, sulla politica sociale, sull’organizzazione dei servizi, eccetera, del Paese col quale si intende attivare l’interscambio (in questo caso l’Italia). Non solo, ma si prepara una raccolta [16] di abstract di contributi teorici e di brevi resoconti sia di ricerche empiriche che di sperimentazioni operative nel campo del servizio sociale, che diano conto di quanto avviene in materia nel Paese di provenienza (in questo caso lo Stato di Pernambuco nel Nordest del Brasile): e lo si fa con una pubblicazione bilingue.
Sempre in riferimento al caso in questione (ma sempre considerandolo generalizzabile) vorrà e potrà qualche grande università italiana accogliere questa missione (o prepararne una di propri studenti, studiosi e docenti) con una formazione previa sulla lingua, sulla cultura, sui servizi, eccetera, in questo caso Brasiliani, e con una pubblicazione bilingue per rendere note le teorie e le prassi italiane in materia di servizi?
Nell’augurio che ciò sia possibile, e nella più genuina disponibilità alla collaborazione, quello che qui però si vuole sottolineare è la difficoltà che incontriamo ad entrare e capire fino in fondo l’ottica secondo cui nello scambio, nel contatto, nel confronto si acquista il potere del sapere e non si perde altro se non l’ignoranza e la protervia di ritenersi al centro del mondo. Di un mondo che quanto più è globale tanto più si regge sulle forze vive locali e può progredire, svilupparsi e pacificarsi tanto più quanto più le azioni locali si collegheranno tra di loro e con le istanze universalistiche, attraverso la mondializzazione della circolazione di idee e del confronto di prassi.
Un ruolo determinante in ciò, si ritiene da più parti (come si pensa di aver mostrato in questo breve articolo) che possa e debba avere il Servizio Sociale.
“Per molti millenni l’umanità si è impegnata nello scoprire nuovi territori sui quali imporre il proprio potere e la propria cultura.
Ora questa piccola parte dell’universo chiamata mondo è totalmente conosciuta, e l’evoluzione della tecnologia, applicata ai trasporti, ha reso facilmente superabili grandi distanze. (…)
Si parla di globalizzazione, di villaggio globale per significare la progressiva riduzione delle diversità socio culturali dei vari paesi.
Si tratta di un processo epocale non privo di gravi rischi per l’umanità. (…). Un mondo in cui tutti vivremo meglio è un mondo capace di conoscere e rispettare tutte le culture, in grado di valorizzare l’esperienza millenaria anche dei popoli che hanno prevalentemente una tradizione orale.
Siamo convinti che il valore di ogni persona sia il proprio patrimonio di conoscenza, il proprio essere e non ciò che possiede.
Allora è necessari incontrarci, che si incontrino persone che provengono da esperienze lontane, nello spazio, ma lontane anche nel tempo, che hanno prodotto culture diverse che l’occidente ha tentato di omologare ai propri modelli”.[17]
Da premesse di questo tipo è nata l’ipotesi della missione di interscambio Brasile-Italia sul servizio sociale su cui si è ritenuto utile focalizzare l’attenzione, augurandosi di poter, una volta di più “… portare un granellino di sabbia affinchè attraverso l’affermazione di quello che Ferrarotti definisce concetto di ‘co-tradizione’ culturale, “non solo a tutte le culture venga riconosciuta pari dignità, ma si aiuti inoltre il loro interscambio e reciproco arricchimento, al di là di ogni temuto, ma inconsistente, rischio di confusione o contaminazione o ancora ‘meticciamento’”. Reciproco arricchimento che non può certo venire, come osserva Ferrarotti a proposito di autori (Fukuyama. Huntington) che ancora oggi ‘concordano su un fondamentale eurocentrismo occidentalistico’ da ‘quella semplificazione del complesso, pluralista quadro mondiale (…) da essi ottenuta mediante l’affermazione di un drastico riduzionismo: da una parte l’Occidente, depositario della razionalità, della scienza pura e della scienza applicata che è la tecnica; dall’altra, il resto dei popoli e delle civiltà o culture di cui sono portatori.”[18]
E, se fosse necessario ancora ribadire come tali questioni chiamino fortemente in causa, oltre che le scienze sociali e la ricerca sociale applicata, anche il lavoro sociale nella sua azione di promozione quotidiana, può forse essere utile ricordare l’approccio “pratico” di Habermas.
“Solo a un patto, secondo me, le società multiculturali potranno essere tenute insieme dalla tradizionale cultura politica liberale: la democrazia dovrà trovare remunerazione non soltanto nei termini di un diritto alla libertà privata e alla partecipazione politica, ma anche nei termini di un godimento profano di diritti alla ripartizione sociale della cultura. I cittadini devono poter sperimentare il valore d’uso dei loro diritti anche nella forma della sicurezza sociale e del riconoscimento reciproco di forme di vita culturali diverse. La cittadinanza democratica sarà in grado di sviluppare forza di integrazione solo se si conferma come un meccanismo realizzante i presupposti materiali delle forme di vita desiderate”[19].
Le premesse da cui è nata l’ipotesi di “missioni di interscambio” su il Servizio Sociale in Brasile e in Italia, così come vengono illustrate nella presentazione del Quaderno in questione, non solo sembrano condivisibili, ma offorno spunto per operare più numerosi e con nuovo ottimismo verso una “mondializzazione” delle idee e dello scambio di esperienze di lavoro sociale.
“All’inizio degli anni ’90 del XX secolo la questione sociale è più che mai all’ordine del giorno. Il problema diventa addirittura internazionale. (…) Le radici del Servizio Sociale professionale si trovano proprio al centro di questo conflitto e agli assistenti sociali si impone, nella loro traiettoria storica, l’obbligo di lottare contro la povertà e in difesa di un mondo più giusto, più democratico, nel quale i principi etici possano superare la logica del mercato.
Oggi, la spinta della crescente globalizzazione, con paradigmi, modelli e dottrine di sviluppo (…) in senso neo-liberista della Stato e delle strutture produttive impone alla società pesanti costi sociali.
Al Servizio Sociale la sfida teorica e scientifica di approfondire le determinazioni della questione sociale a livello mondiale e la sfida etico-politica di condividere i valori universali per sviluppare la capacità di analisi critica, di denuncia, di progettazione e di mobilitazione della società civile per il consolidamento della democrazia e dei diritti sociali”.[20]
[1] Maria Stefani è funzionario direttivo per il Servizio Sociale della Regione Lazio, ha insegnato per 5 anni Servizio Sociale di Comunità e poi per 13 anni Principi e Fondamenti del Servizio Sociale. E’ membro del consiglio d’amministrazione dell’ISTISSS e collabora con La Rivista di Servizio Sociale attraverso la rassegna delle rivista straniere. E’ stata dal 1995 al 2004 membro della Segreteria dell’Associazione Italiana Docenti di Servizio Sociale (AIDoSS) che promuove convegni e ricerche per la qualità dell’insegnamento professionale nei corsi di laurea in servizio sociale.
[2] A. Monteiro Mustafà, M.Stefani (a cura di), Sintesi delle Conferenze e delle Ricerche per il Lavoro nel Servizio Sociale Brasiliano, E.Universitaria UFPE, Recife –PE, 2005, la cui recensione si trova su questo numero de La Rivista di Servizio Sociale.
[3] L’ISTISSS è infatti socio del CISS (Comitato Italiano di Servizio Sociale), aderente all’International Council on Social Welfare –ICSW, che ha, fin dalle sue origini, lo scopo di costituire sedi di dibattito internazionale sulle questioni concernenti i servizi sociali, al fine di garantire la presenza delle istanze così rappresentate nelle sedi di decisione della politica sociale.
[4] Cfr. R.Cutini, Il servizio sociale italiano nel secondo dopoguerra:contributi per una ricerca storica, Quaderno n.16 de La Rivista di Servizio Sociale, Roma, 2003.
[5] E.Fiorentino Busnelli, Principi e valori fondanti la professione:le prospettive degli anni 44-50, in SOSTOSS (a cura di), Servizio Sociale e Democrazia, Quaderno n.17 de La Rivista di Servizio Sociale, Roma, 2004.
[6] Cfr. A.M.D’Ottavi, Cultura organizzativa, apprendimento organizzativo e lavoro sociale, in La Rivista di Servizio Sociale n.2.02, p.92.
[7] Vedi Ambrosini, Un dono arricchente, in M. Ambrosini (a cura di), Per sé e per gli altri. Motivazioni e percorsi del volontariato giovanile, Angeli, Milano, 2004, che confronta Mutti e Bagnasco; e D.Wolleback e P.Selle, La partecipazione alle associazioni di Volontariato contribuisce alla formazione del capitale sociale?, in L.Boccacin, G.Rossi (a cura di), Stili partecipativi emergenti nel volontariato giovanile, in Sociologia e Politiche Sociali, vol.7, nn.2/04, Franco Angeli, ove si riprende la categorizzazione di Lutman.
[8]A.M.D’Ottavi, D.Da Pos, V.Luterotti, Culture d’organisation et travail social, presentato alla “Conferenza dell’Associazione Internazionale delle Scuole di Lavoro Sociale”,“CitoyennetĖ et formation des travailleurs sociaux dans la mondialisation”, Montepellier, 15-18 luglio 2002, atti pubblicati su www.aforts.com.
[9] Recommendation Rec(2001) of the Committee of Ministers to member States on Social Workers, adpted by the Committee of Ministers on 17 jan.2201, at the 737th meeting of the Ministers’ Deputies.
[10] A.M.D’Ottavi, V.Luterotti, D.Sandri Boriani, Poverty, Social Work and Globalization, ICSW – International Council on Social Welfare – European Regional Conference “Different faces of poverty – Fighting social Exclusion”, Oslo 11-14 June 2003, atti pubblicati su www.icsw.org..Cfr. La Rivista di Servizio Sociale n.3/03.
[11] V.Luterotti, Ricapitolando, La Rivista di Servizio Sociale, n.3/03, p.66 (vedi nota n.7).
[12] A.M. D’Ottavi, E l’Europa?, in La Rivista di Servizio Sociale n.3/03 (vedi nota n.7).
[13] Comunicato Social Platform-CILAP Eapn Italia, novembre 2003.
[14] G.Gobo, Dopo la svolta pratica. Un nuovo ruolo per la metodologia qualitativa, comunicazione al Seminario Internazionale La ricerca qualitativa: teorie, metodi e applicazioni, Università RomaTre e AIS, Roma 3 giugno 2005.
[15] V.Luterotti, già cit.; cfr. A.M.D’Ottavi, Social Research Environmentally Applied by the Services by the Services to the People. From the illusion of global welfare to the network of a caring society, Abstracts 36th World Congress of International Institute of Sociology, Ed.Institute of Sociology Chinese Academy of Social Sciences, Beijing, 2004
[16] Vedi nota n. 2.
[17] M.Stefani, Il valore dell’incontro, in A. Monteiro Mustafà, M.Stefani (a cura di), già cit., pag.11.
[18] F. Ferrarotti, La convivenza delle culture. Un’alternativa alla logica degli opposti fondamentalismi, Dedalo, Bari, 2003, p.5., che viene ripreso in A.M.D’Ottavi, Insegnare alla donna immigrata che lavora nei servizi alla persona, La Rivista di Servizio Sociale, n.2-2003.
[19] Habermas, L’inclusione dell’altro, Feltrinelli, Milano, 1981.
[20] A. Monteiro Mustafà, presentazione, in A. Monteiro Mustafà, M.Stefani (a cura di), già cit., p.7.