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Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma – Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma

Perchè si diventa assistenti sociali

Carla Facchini

1/2008 n.s

In Italia, soltanto alla metà degli anni ’90, la formazione degli assistenti sociali è entrata a far parte a pieno titolo del sistema universitario (Dal Pra Ponticelli, 2001; Tonon Giraldo, 2005). Ciò ha consentito da un lato il pieno accreditamento della professione dell’A.S. nel sistema dei servizi (Campanini, 2001), dall’altro l’“importazione” nell’Università di modelli formativi innovativi – tirocinio (Raineri, 2003), supervisione di docenti esterni, presenza di docenti-operatori – difficilmente pensabili nel quadro dell’insegnamento universitario tradizionale (Dal Pra Ponticelli, 2001). Attualmente, sono 40 gli Atenei che hanno attivato un cdl triennale in Servizio Sociale, 26 quelli che hanno attivato un cdl specialistica (www.miur.it; Cacioppo e Tognetti Bordogna, 2003). Il passaggio della formazione al lavoro sociale nel sistema universitario, nel quadro del suo più complessivo riordino, ha inoltre consentito la creazione di corsi universitari di secondo livello, che hanno aperto nuove opportunità di carriera per i laureati consentendo loro l’accesso alle posizioni dirigenziali prima precluse, e si sono, presumibilmente, ripercosse sulla stessa collocazione sociale degli A.S. ‘di base’ (Facchini e Giasanti, 2004).
Peraltro, la trasformazione dei percorsi formativi ha coinciso con una profonda trasformazione del sistema dei servizi sociali, determinata sia dai mutamenti socio demografici, sia dai nuovi assetti istituzionali avviati negli anni ’90 e culminati con l’approvazione della legge di riforma dell’assistenza -L.328/00- (Ferrario, 2005), sia, infine, dal recente sviluppo nel nostro paese di modalità di risposta ai bisogni in cui interagiscono servizi pubblici, servizi informali familiari e servizi privati di mercato. Sono dunque mutati sia il sistema dei servizi, sia lo stesso profilo professionale dell’AS, cui vengono proposti non solo nuovi modelli di intervento, ma anche nuove modalità contrattuali (Folgheraiter, 2003)
L’intreccio di tali mutamenti rende di particolare interesse da un lato disegnare il profilo degli studenti iscritti al corso di laurea in Servizio Sociale, dall’altro sondare i motivi per cui gli studenti scelgono questo percorso formativo e le immagini che essi hanno di tale professione.
A tali esigenze conoscitive cerca di rispondere l’attività dell’Osservatorio nazionale sugli studenti e i laureati in Servizio Sociale.
L’ Osservatorio si è costituito inizialmente nel 1994 su iniziativa dell’allora Scuola Diretta a Fini Speciali (SDFS) per Assistenti sociali dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Comune di Milano, usufruendo di fondi messi a disposizione dalla Regione Lombardia per la trasformazione di questi percorsi formativi. Nel triennio 1994-97 sono state così effettuate tre rilevazioni nazionali sugli iscritti ai corsi, diventati nel frattempo Diplomi Universitari, che ne hanno sondato aspetti quali le caratteristiche socio-anagrafiche, i percorsi formativi precedenti, le motivazioni e la partecipazione al volontariato (News Osservatorio, 1998; Rizza, 2001).
Dopo un periodo di sospensione, determinato dal venir meno dei finanziamenti regionali, l’Osservatorio si è ricostituito nel 2004, come Centro dipartimentale di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano Bicocca, presso la quale il DUSS (Diploma Universitario in Servizio Sociale), nel frattempo divenuto corso di laurea, si era dislocato. Nel 2004/05 l’attività di ricerca è quindi ripresa, con un’indagine sugli iscritti al primo anno del cdl in Servizio Sociale[1]. In questa rilevazione si è ritenuto opportuno arricchire il questionario iniziale da un lato inserendo temi quali i modelli valoriali, la partecipazione sociale e le attività di leasure; dall’altro sondando in modo più articolato le motivazioni all’iscrizione al CdL e rilevando le immagini dell’Assistente Sociale e le fasce di utenti ai quali con i quali si vorrebbe operare.
La ricerca, cui hanno aderito 36 CdL[2]- ha coinvolto 1893 matricole su un totale di 4.547 (www.miur.it)[3]: si tratta dunque di un campione molto rappresentativo, la cui significatività è confermata dalla omogeneità di alcune variabili ‘di base’ (sesso, età, percorso formativo precedente) con i dati rilevati dal sito ministeriale. Il questionario, composto solo da domande ‘chiuse’, è stato distribuito e illustrato dai coordinatori o dai docenti durante le lezioni e gli studenti lo hanno poi compilato autonomamente. Se il fatto che la quasi totalità di cdl ha aderito a questa indagine è un buon indicatore dell’interesse dei coordinatori verso i temi trattati, l’esiguità delle mancate risposte, e, ancor più delle ‘incongruenze’ sembra costituire un buon indicatore di un interesse anche da parte degli studenti.
I testi qui raccolti, che presentano i principali elementi scaturiti da tale indagine, da un lato permettono di cogliere, almeno per i temi presenti nelle rilevazioni precedenti, il profilo socio-anagrafico degli studenti e i principali mutamenti intervenuti nel decennio intercorso, dall’altro offrono elementi di riflessione per il dibattito in corso sulla formazione degli operatori dei servizi.
 
 

[1] Un ringraziamento non formale va a Millina Secchi, per il suo supporto fondamentale nella raccolta dei dati.
[2] I cdl mancanti sono quelli di Napoli, Trento, Campobasso. Le sedi coinvolte sono state in realtà più numerose (42 su 46), dato che diversi cdl operano su più sedi.
[3] Lo scarto è riconducibile anzitutto al fatto che non in tutti i cdl le lezioni, o almeno una parte di esse, prevedono la frequenza obbligatoria e quindi la presenza degli studenti alle lezioni è molto variegata: in effetti nei cdl in cui la frequenza è obbligatoria la percentuale di studenti che hanno compilato il questionario raggiunge l’80-90%, mentre negli altri cdl, specie in quelli con un numero molto elevato di iscritti (come Catanzaro o Torino) si scende attorno al 30-40%. Vale a dire che i dati sono estremamente rappresentativi degli studenti frequentanti, meno degli altri. E’ però ragionevole ritenere che tale diversa rappresentatività incida solo su temi quali l’eventuale attività lavorativa o sulle condizioni socio-familiari, ma ben poco incida invece sugli altri. Secondariamente, sullo scarto ha giocato il fatto che tra i corsi che non sono stati coinvolti vi sono i due di Napoli, il cui numero di immatricolati, pari a 493, incide per oltre il 10% sul totale degli iscritti.