La comunicazione interculturale nel sistema sanitario
Barriere comunicative e bisogni formativi degli operatori
V. Barbieri
3/2008 n.s
Premessa
Questo articolo riporta le riflessioni emerse nella giornata seminariale “La comunicazione interculturale nel sistema sanitario” organizzata dall’Ufficio Ricerca ed Innovazione dell’Azienda USL di Reggio Emilia in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia il 21 settembre 2007.
Il seminario è stato rivolto ad operatori sanitari afferenti a diversi reparti dell’AUSL di Reggio Emilia, ma anche di altre aziende sanitarie dell’Emilia Romagna e di altre regioni italiane (Trentino Alto Adige, Lombardia, Marche). Hanno partecipato mediatori, medici ed infermieri che hanno un contatto diretto con gli immigrati nei vari reparti dell’azienda sanitaria (area ginecologica, materno-infantile, della nutrizione, pronto soccorso, medicina di base, medicina del lavoro), ma anche operatori addetti alla formazione del personale e all’organizzazione dei servizi sanitari.
Scopo dell’iniziativa è di migliorare la capacità del sistema sanitario di rispondere in modo adeguato ed equo alle sfide della diversità culturale. Dato questo presupposto il seminario è stato finalizzato a presentare e discutere le dinamiche, le potenziali barriere e le azioni di sostegno nella comunicazione interculturale in ambito sanitario. La comunicazione, infatti, gioca un ruolo cruciale nell’erogazione delle prestazioni sanitarie come parte fondamentale nel processo diagnostico e di cura. In un contesto sanitario multiculturale diventa particolarmente importante che le informazioni siano ottenute e trasmesse in modo corretto e appropriato: la trasmissione efficiente di informazioni cliniche è un pre-requisito sia per le decisioni del medico che per la fiducia del paziente e di conseguenza per favorire il miglior percorso di cura e di cooperazione medico/paziente.
Nell’ambito della giornata sono stati organizzati quattro laboratori orientati ad esplorare i bisogni formativi degli operatori sanitari nella comunicazione con gli utenti immigrati. I laboratori sono stati coordinati da quattro esperti: Claudio Baraldi, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Modena e Reggio Emilia, Laura Gavioli, professoressa di Lingua e Traduzione all’Università di Modena e Reggio Emilia, Anja Corinne Baukloh, docente presso il master in “Mediazione dei conflitti sociali e interculturali” all’Università di Firenze e Sandro Cattaccin, professore di Sociologia all’Università di Ginevra.
I quattro laboratori, pur presentando alcune differenze, sono stati impostati in modo da costituire un’occasione di riflessione e confronto in piccoli gruppi formati da 12-20 persone ognuno. I conduttori, attraverso attività più o meno strutturate (giochi di ruolo, analisi di materiale tratto da ricerche empiriche sulla mediazione interculturale, domande focalizzate e interpretazioni di pratiche su cui riflettere), hanno proposto stimoli per intavolare una discussione sulle criticità osservate nel rapporto tra operatori sanitari e utenti immigrati e sui bisogni formativi ravvisati dagli operatori stessi in funzione del miglioramento della relazione con il paziente immigrato. I partecipanti hanno mostrato un elevato interesse e coinvolgimento nelle attività proposte ed hanno prodotto ricche osservazioni sintetizzate di seguito.
Barriere nella comunicazione tra operatore e paziente immigrato
Anzitutto, gli operatori sono stati sollecitati ad esprimere e confrontare le difficoltà che incontrano nell’interazione quotidiana con il paziente immigrato. Sono stati sollevati problemi comunicativi che spaziano da una difficoltà linguistica di fondo, data dalla mancata condivisione di una lingua comune, alle barriere prodotte dalla diversità culturale che possono inficiare una relazione efficace e non superficiale con l’immigrato.
Oltre al problema della diversità linguistica, l’esistenza di diversità culturali viene osservata come ostacolo ad una comunicazione efficace. Nei confronti di pazienti provenienti da certe aree geografiche, segnatamente i paesi arabi, viene citata diffusamente la difficoltà nel rendere accettabile il ruolo del medico maschio da parte della paziente, soprattutto in ambito ginecologico.
Vi sono poi numerose diversità culturali che emergono nell’interazione, come le diverse rappresentazioni nel campo dell’assistenza agli anziani, dell’alimentazione, della procreazione e della contraccezione, dell’igiene. Visioni diverse spesso determinano conflitti o impasse comunicative difficili da gestire. Vengono, inoltre, rilevate difficoltà sia ad apprendere gli orientamenti culturali del paziente, sia a chiarire al paziente la cultura dell’organizzazione sanitaria, in particolare le difficoltà nascono quando si tratta di narrare il proprio punto di vista su che cosa si può fare e su che cosa invece non è possibile fare all’interno della struttura.
Le barriere interlinguistiche ed interculturali rilevate si traducono in difficoltà ad instaurare un rapporto profondo col paziente orientato all’empatia e alla fiducia reciproca. Si rileva infatti che l’azione dell’operatore sanitario, oltre ad essere mirata primariamente alla risposta al bisogno sanitario del paziente, è rivolta a stabilire una comunicazione interpersonale affettiva. I risultati dello sforzo comunicativo dell’operatore, tuttavia, vengono spesso messi in discussione dall’impossibilità di verificare la comprensione e l’accettazione delle indicazioni emesse a favore del paziente, a causa delle barriere linguistiche e culturali.
Per costruire un rapporto di fiducia con l’utente immigrato, l’orientamento più diffuso consiste nell’appellarsi all’aiuto dei mediatori interculturali. Tuttavia, le mediatrici presenti osservano che spesso gli operatori italiani sovrastimano la possibilità di ottenere spiegazioni dei comportamenti del paziente facendo ricorso alle competenze interculturali del mediatore. Anche gli operatori rilevano i limiti della mediazione nell’erigersi come unico strumento di conoscenza per la diversità culturale. I limiti principali vengono attribuiti all’identità culturale del mediatore, che può faticare ad accostarsi a persone di culture diverse, benché ne condivida la lingua.
In sintesi gli elementi di criticità nel rapporto col paziente immigrato vengono rintracciati principalmente nella difficoltà ad instaurare una forma di comunicazione efficace per adempiere a due obiettivi primari: fornire risposte al bisogno sanitario ed instaurare un rapporto di fiducia col paziente. Se, in certi casi, la mancata condivisione della lingua rende problematica anche la comprensione del problema sanitario tout court, più spesso le difficoltà riguardano il perseguimento del secondo obiettivo, la costruzione di una relazione non superficiale e basata sulla fiducia reciproca.
Se questo obiettivo è osservato come problematico anche con il paziente italiano, nella relazione con il paziente immigrato gli operatori sanitari percepiscono una mancanza di strumenti aggiuntivi per ottenere una comunicazione efficace. Questi strumenti, come verrà osservato di seguito, vengono rintracciati soprattutto in (1) una scarsa conoscenza degli orientamenti culturali del paziente e (2) nella difficoltà a narrare i propri orientamenti, specialmente relativi alla cultura del sistema sanitario. La mediazione viene spesso considerata uno strumento utile, anche se si rileva che, per i motivi indicati, non può essere considerata una panacea al bisogno di conoscenza ed espressione dell’operatore.
I bisogni formativi degli operatori
I laboratori si sono concentrati sulla promozione dell’espressione dei bisogni formativi percepiti dagli operatori sanitari in rapporto all’utente immigrato. Gli operatori hanno proposto una distinzione tra i bisogni di formazione rivolti a: a) personale medico e paramedico, b) mediatori e c) utenti in funzione del miglioramento della relazione a tre.
a) La formazione del personale medico e paramedico
— conoscenza della diversità: Il primo bisogno rilevato è legato alla conoscenza degli orientamenti culturali dell’utente immigrato. In particolare si richiede di: 1. “ricevere più nozioni sulle culture che ci vengono a trovare”; 2. “conoscere le abitudini culturali delle etnie per organizzare meglio i servizi, anche le abitudini quotidiane: se so che l’arabo è abituato ad arrivare in ritardo lo metto a mezzogiorno, non alle otto”.
– competenze comunicative: i bisogni legati alle forme di comunicazione da impostare con l’utente straniero riguardano due aree principali: 1. l’efficacia dell’azione comunicativa dell’operatore nei termini rilevati nel paragrafo precedente soprattutto in condizioni di tempo limitato. 2. La gestione del conflitto interculturale, che si declina nell’evitare una comunicazione interculturale aggressiva/violenta e nella prevenzione del conflitto.
b) La formazione del mediatore
Anche sul servizio di mediazione vengono osservate criticità riconducibili principalmente ad una mancanza di omogeneità nella formazione e nelle prestazioni.
Sia da parte degli operatori sanitari che da parte dei mediatori si avverte la necessità di migliorare la formazione dei mediatori arrivando a produrre una definizione precisa del ruolo. Una migliore definizione del ruolo del mediatore aiuterebbe anche a prevenire il rischio sollevato da alcuni operatori di “culturalizzare le mediatrici”, attribuendo loro funzioni di rappresentatività di una cultura. La definizione del ruolo del mediatore, che potrebbe prevedere una sua collocazione tra gli operatori sanitari, risulterebbe anche utile per prevenire blocchi comunicativi legati alla cultura dell’utente.
In conclusione i bisogni formativi elencati possono essere ricondotti ai seguenti ambiti:
1. l’apprendimento di nozioni per accogliere l’utente immigrato. Sono stati citati soprattutto elementi legati agli orientamenti culturali degli utenti immigrati, ma anche conoscenze pratiche relative alla normativa sull’immigrazione nel contesto sanitario. Questo punto sarebbe funzionale al
2. miglioramento delle competenze comunicative dell’operatore. In base alla conoscenza degli orientamenti culturali del paziente straniero sarebbe possibile attivare forme di comunicazione non conflittuali ed efficaci sia in termini informativi (es. problema della trasmissione/traduzione delle informazioni) sia nella costruzione di una sistema fiduciario tra operatore, mediatore e paziente. Per raggiungere questo obiettivo gli operatori riconoscono l’importanza della propensione individuale alla curiosità e al decentramento della propria prospettiva, ma richiedono anche alla struttura sanitaria di “evitare di sovraccaricarci di prestazioni”.
3. la ridefinizione del ruolo e delle competenze del mediatore interculturale.
Le proposte formative
Alla luce delle riflessioni di gruppo, i conduttori dei laboratori hanno fornito alcuni spunti formativi per incontrare i bisogni e le criticità espressi dagli operatori. Sono stati affrontati principalmente il tema della conoscenza della diversità, della costruzione di un rapporto di fiducia tra operatore ed utente e del ruolo del mediatore.
Sul problema della conoscenza delle culture ci si interroga su quanto e che cosa bisogna conoscere delle culture che accedono al servizio. Nello specifico è stato sollevato il bisogno di competenze interlinguistiche, ma anche interculturali, al fine di rispondere, ad un primo livello, al bisogno immediato costituito dall’esigenza di cura. Le nozioni culturali sono considerate utili anche per avvicinarsi alla cultura straniera con l’intenzione di costruire un rapporto di fiducia.
Tuttavia le esperienze emerse dai racconti operatori nel contatto con la diversità evidenziano il fatto che non è possibile conoscere tutto di tutte le culture che accedono al servizio, in quanto le esperienze di contatto con la diversità non sono generalizzabili, ma relative alla specifica interazione che emerge nella contingenza.
La proposta formativa riguarda l’abbandono della pretesa di una conoscenza nozionistica e universale della diversità, a favore della promozione:
a)- del contatto diretto con le comunità presenti sul territorio;
b)- di un utilizzo consapevole del servizio di mediazione interculturale;
c)- dell’approntamento di strumenti comunicativi che permettano di gestire la comunicazione interculturale nel servizio sanitario.
1. Per migliorare la conoscenza della diversità viene evidenziata l’importanza di stabilire un rapporto con le comunità presenti sul territorio. Sono state presentate proposte orientate ad “entrare nelle comunità” attraverso l’aiuto di facilitatori che legittimino il contatto con gli esponenti del gruppo. In secondo luogo si propone di incrementare i momenti di incontro e di confronto con i mediatori all’interno della struttura sanitaria, istituendo gruppi misti di mediatori ed operatori sanitari.
2. Viene riconosciuta l’importante funzione della mediazione interculturale nella gestione della comunicazione con l’utente immigrato. Alla luce delle esperienze maturate, è ritenuto opportuno proporre una riflessione approfondita sulla funzione della mediazione. Anzitutto viene sollevato il problema di professionalizzarne il ruolo, sviluppando standard condivisi che permettano una definizione delle funzioni del mediatore. Viene osservato che la definizione degli standard professionali può essere il prodotto di un’iniziativa bottom up, che parta dalle esperienze pratiche dei mediatori.
Alla definizione del ruolo del mediatore può contribuire la distinzione tra la sua funzione informativa, orientata a facilitare la trasmissione delle informazioni, e quella affettiva, orientata a facilitare la creazione di un rapporto fiduciario nell’ambito dell’interazione. Il mediatore, infatti, è colui che informa in due sensi, verso il medico e verso il paziente, tuttavia, fa anche qualcosa in più, infatti che la sua azione può facilitare o inibire la creazione di coinvolgimento emotivo tra utente ed operatore sanitario e promuovere o disincentivare l’autoespressione del paziente.
Un’analisi approfondita della funzione del mediatore nell’interazione permette di definire le azioni comunicative più efficaci nella gestione della relazione con l’utente.
3. Nel contesto dell’interazione in ambito sanitario si propone di lavorare su tecniche comunicative che promuovano la partecipazione dell’utente, in modo da incrementare la conoscenza reciproca e rintracciare risorse utili per la gestione della comunicazione interculturale. Si propone in particolare:
1. di fare emergere gli orientamenti culturali del paziente nell’interazione tra medico, paziente e mediatore;
2. di trattare questi orientamenti in modo “dialogico” nell’interazione.
L’azione dialogica di operatore e mediatore consiste nel manifestare attenzione nei confronti della diversità attraverso un atteggiamento di ascolto e di empatia, e nel contempo nel narrare il proprio punto di vista nella comunicazione.
L’azione dialogica può rendere anche possibile il raggiungimento dell’obiettivo più volte citato di costruire un rapporto di fiducia con l’utente, fondamentale per approfondire il livello di conoscenza sulla diversità e apprendere ulteriori risorse che rendano possibile il proseguimento della comunicazione.
Si propone, infine, di tentare anche una comunicazione diretta col paziente in certi casi: a questo proposito si propongono spunti di riflessione su come sia possibile lavorare anche in assenza del mediatore.