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Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma – Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma

Il ruolo dell’assistente sociale nel procedimento dinanzi al tribunale dei minori

M. Quadrelli

4/2009 n.s

LE FONTI
I principi costituzionali e il minore
 
            Nella visione giuridica attuale il minore è considerato come soggetto di diritti e di doveri, essendogli riconosciuta la titolarità, esce dal guscio protettivo del non essere, divenendo soggetto attivo di diritti e di aspettative altrui. Onde la necessità di un trattamento differenziato rispetto agli adulti.
            Il riconoscimento di diritti e doveri e la posizione di alterità, racchiudono la garanzia di speciali protezioni e garanzie, quali quelle statuite dalle l. 431/1967 e 184/1983 sul riconoscimento del diritto ad avere una famiglia, anche adottiva. Tuttavia la concezione legislativa del minore permane in schemi categoriali oramai datati e inadeguati alla realtà.
            Il principio cardine è dato dall’art.3 Cost., che è legato all’art.2 dalla concreta applicazione degli inviolabili diritti dell’uomo, dove la dignità prescinde dall’età del soggetto, come pure importanti sono i richiami all’art.30 sul ruolo dei figli minori all’interno della famiglia, ma emerge l’art.31 co.2, relativo alla protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù, che interagisce con l’art.27 co.2 in ordine ai principi rieducativi della pena e il suo conformarsi al principio di umanità, apportando la giurisdizione esclusiva del minore al Tribunale per i minorenni[1].
            La Corte Costituzionale è intervenuta anche per la necessità del giudice minorile di valutare i bisogni rieducativi e nel modellare la risposta penale all’età dell’imputato[2], oltre a statuire la parziale incostituzionalità dell’art.67 l. 689/1981 nella parte in cui, anche nei confronti di condannati minori di età al momento del fatto, escludeva dalle sanzioni alternative coloro che fossero in corsi nel passato in revoca di sanzione sostitutiva[3].
           
 
Le fonti internazionali
 
            Le dichiarazioni più importanti si possono trovare nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10.12.1948) che riafferma la centralità della famiglia e la speciale assistenza che dev’essere assicurata sia alla madre che al bambino; nel preambolo della dichiarazione dei diritti del fanciullo (20.11.1959); nel patto internazionale sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali (16.12.1966); nella convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (4.11.1950), nel protocollo addizionale di Parigi sull’istruzione (20.3.1952), nella definizione delle regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile (29.11.1985), nella raccomandazione europea riguardo alle risposte sociali alla delinquenza minorile (17.9.1987) e nella convenzione sui diritti del fanciullo (20.11.1989). Tutto ciò in vista di assicurare ai minori un trattamento che sia conforme e proporzionato sia alla loro situazione che al reato commesso.
            In tal senso si configura anche la raccomandazione 20/2003/CE sulle modalità di trattamento della delinquenza giovanile e sul ruolo della giustizia minorile.
 
 
L’attuale assetto del sistema di diritto e procedura penale minorile con riferimento al ruolo degli Assistenti Sociali
 
            L’attenzione per l’intervento di competenze sociali inizia con la nascita del sistema di giustizia minorile (R.D. 2316/1934 e R.D.Lgs. 1404/1934) e con la l. 88/1956 si è dato vita all’esperimento dell’affido sociale del minore – rieducandolo – in alternativa al ricovero correzionale.
            Il servizio sociale è pertanto stato organizzato da una serie di norme (R.D.Lgs. 104/1934 e l. 1085/1962), operante nonostante i limitati spazi di riconoscimento nell’ordinamento processuale minorile previgente.
            Il D.p.r. 616/1977 ha sottratto al servizio ministeriale l’intera competenza rieducativa sia civile che amministrativa, assegnandola ai Comuni e separando l’ambito civile da quello penale.
            La l. 354/1975 ha posto i servizi addetti alla rieducazione e reinserimento sociale anche agli adulti, assumendo un autonomo ruolo istituzionale nella fase di esecuzione della pena, cui è seguita l’assunzione di competenze in materia di tossicodipendenze.
 
Le competenze spettanti all’Autorità giudiziaria e pertinenti a questo contesto sono distribuite tra diversi soggetti, di cui giova esaminare i profili rapportandoli al lavoro degli Assistenti Sociali (da ora AS), intesi come operatori coinvolti nell’intervento della giustizia minorile. Cultura che si sostanzia nell’organizzazione dei servizi, nelle loro modalità di funzionamento, nelle modalità di coordinamento e di integrazione ai vari livelli:
·         la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni,
·         il Tribunale per i minorenni,
·         il giudice tutelare,
·         la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario,
·         il Tribunale ordinario;
·         la Corte d’Appello.
Riguardo tali ambiti soggettivi nella loro circolarità, si può trovare gli indicatori necessari per la
valutazione del funzionamento della giustizia, in particolare di quella minorile.
 
E’ necessario – schematicamente – definire i ruoli dei diversi attori, in modo da esplicitare l’azione degli AS, affermando che si tratta di soggetti necessari del processo penale minorile. La loro figura non è accostabile a quella dei periti, che di volta in volta sono chiamati a rispondere a determinati compiti loro affidati, ma sono figure professionali il cui ruolo è obbligatorio nell’azione della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. 
In particolare:
– vaglia le segnalazioni pervenute dai servizi, dalle forze dell’ordine o da altri soggetti privi di legittimazione alla presentazione del ricorso (cittadini e volontariato sociale), riguardanti situazioni di pregiudizio o di abbandono di minore di età, finalizzate alla sua tutela civile e:
* presenta ricorso al Tribunale per i minorenni per adottabilità, decadenza o sospensione potestà genitoriale (artt.300 e 330 c.c.), allontanamento dalla famiglia, affidamento ai servizi, protezione;
* dispone provvedimenti per la protezione assistenziale del minore che ha comportamenti devianti ed – ex l. 269/1998 – dispone provvedimenti per la protezione assistenziale, il sostegno psicologico, il recupero e il reinserimento del minore che esercita la prostituzione e/o dei minori stranieri, privi di assistenza in Italia, vittime di tale reato;
* comunica ai servizi le iniziative intraprese o i motivi dell’archiviazione;
–          dispone ed effettua ispezioni nelle comunità di accoglienza, con cadenza semestrale.
 
Il ruolo degli AS nel processo penale minorile (da ora ppm) discende non tanto dal disposto di cui agli artt.6 e 9 del codice penale minorile (da ora c.p.m.), in quanto le indagini sulla personalità possono essere acquisite anche senza l’ausilio dei servizi sociali, quanto dall’art.12 co.2, per cui in ogni caso (qualora nel procedimento si compiano atti per i quali è richiesta la partecipazione del minorenne) allo stesso è assicurata l’assistenza dei servizi indicati nell’art.6 c.p.m.
            Altra disposizione che implica l’ausilio dei servizi sociale è data a proposito dell’applicazione delle misure cautelari (art.19 co.3) e della messa in prova (art.28 co.2), differenziando i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia da quelli degli enti locali.
            Queste disposizioni individuano il ruolo dei servizi sociali giudiziari legato al processo, in qualità di referenti necessari del giudice, essendo dotati di uniformità metodologica nell’operare (es.: art.18 co.1 dpm). Il loro ruolo si potrebbe definire come di “mediazione giudiziaria”:
–          svolgendo attività di inchiesta e informazione sulla personalità a beneficio degli organi giudiziari per tutte le finalità indicate dall’art.9 dpm (e tale attività si connota come attività eventuale);
–          svolgendo assistenza al minorenne, come attività necessaria (art.12 co.2 dpm)[4];
–          svolgendo sostegno, trattamento e controllo (attività necessaria e particolare).
Pertanto il ruolo di assistenza e sostegno al minore assume – di fatto – la funzione di garanzia di
protezione, anche attraverso l’intervento penale di cui all’art.31 Cost., tant’è che l’assistenza è necessaria in ogni caso e, agli AS è dato l’avviso dell’udienza (art.31 co.3 dpm).
 
 
I servizi sociali per i minorenni, i servizi ministeriali e degli enti locali
 
Il D.p.r. 448/1988 pone un ruolo di rilievo dei servizi sociali[5] per i minorenni, in quanto cessa di essere eventuale ma diventa una necessità, una prassi ordinaria che si snoda attraverso i percorsi tipici previsti dalla legge, allargando il raggio d’azione alla realtà locale, che – purtroppo invece – nella realtà è fonte di scollamenti.
I servizi locali sono posti accanto a quelli giudiziari, con alcune differenziazioni rispetto a essi. Quelli locali collaborano con i servizi giudiziari quando si debba evitare l’interruzione di processi educativi.
 
Vi è l’attribuzione ai Comuni della generalità delle funzioni e dei compiti relativi all’erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali, mentre le funzioni socio-sanitarie e, quelle a elevata integrazione sanitaria, sono attribuite alle aziende Asl. Le norme regionali incentivano lo sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria promuovendo le deleghe, da parte dei Comuni, delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, nonché della gestione dei servizi sociali alle aziende Asl.
L’esercizio o meno della facoltà di delega (o di associazione) da parte dei Comuni ha portato alla formazione di situazioni territoriali diversificate, secondo le risorse e i vincoli presenti in ciascuno dei contesti locali. La delega può essere totale (funzioni di gestione amministrativa e funzioni tecnico- professionali di valutazione e presa in carico) o parziale, quando le funzioni amministrative rimangono all’ente locale[6].
Nelle materie delegate i Comuni stabiliscono le priorità d’intervento, conferiscono le relative risorse e verificano il conseguimento dei risultati di efficacia definiti con gli strumenti della programmazione locale, assegnati dalla l. 328/2000 e dalla l. cost. 3/2001 di riforma del titolo V Cost.. In assenza di delega, al servizio sociale comunale spetta la responsabilità di attivare e monitorare il “progetto quadro”[7] relativo agli interventi di protezione del minore.
Al Comune spettano, oltre alle funzioni di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle attività da parte delle strutture sociali presenti nel proprio territorio, anche quelle di accreditamento e di vigilanza delle attività sociali, sulla base dei requisiti stabiliti dalla Regione.
In materia – nei casi di emergenza – i sindaci dei Comuni procedono al collocamento del minore d’età in un luogo sicuro, sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione e salvaguardia (art. 403 c.c.), segnalando contestualmente il fatto alla Procura per i minorenni.
 
Schematicamente si possono così riassumere i compiti degli enti locali e delle aziende sanitarie locali, nell’ambito dell’azione dei servizi sociali riguardo ai minori:
a) Comuni:
·         Programmazione (non delegabile) e attuazione (delegabile) degli interventi;
1.      Titolarità tutela minori;
2.      Oneri economici;
3.      Responsabilità progetto quadro;
4.      Monitoraggio e valutazione;
·   Autorizzazione, accreditamento, vigilanza dei servizi;
·   Provvedimenti urgenti di protezione (art.403 c.c.).
b) Province:
·         Interventi per minorenni riconosciuti dalla sola madre, in armonia con la programmazione regionale e in linea con la realizzazione del piano di zona.
c) Aziende Asl:
·         Interventi sanitari e sociali diagnostici e terapeutici sui minori e la loro famiglia. legate a interventi di sostegno per le famiglie di minori in situazioni di disagio, di disadattamento e di devianza, comprese le indagini sociali quando funzionali alla formulazione di un progetto di riabilitazione;
·         Funzioni delegate dai comuni;
·         Pianificazione servizi sociosanitari (su indirizzo della conferenza dei sindaci);
·         Collaborazione alle attività di autorizzazione e accreditamento delle comunità di accoglienza.
OCALI E AZIENDE ULSS
Altro organo da esaminare è il “centro per la giustizia minorile”, il quale esercita funzioni di programmazione tecnica ed economica, controllo e verifica nei confronti dei servizi minorili dipendenti, quali gli uffici di servizio sociale per i minorenni, gli istituti penali per i minorenni, i centri di prima accoglienza (artt. 7, 8, 13 D.Lgs. 272/1989).
Svolge altresì una funzione di promozione e di raccordo nei confronti delle istituzioni presenti nel territorio.
Il disposto dell’art.6 assume ruolo di norma cardinale, in quanto dispone l’avvalimento del servizio sociale da parte dell’Autorità.Giudiziaria (da ora AG), servizi facenti parte dell’amministrazione della giustizia, come pure degli enti locali, senza però tipizzarli (ovvero rendere rigida il loro ambito di operatività) ma ponendoli nel concreto interesse minorile da assicurare.
Il servizio interviene in situazioni di adolescenti nei confronti dei quali l’AG minorile ha disposto le misure previste dalla legge, quali: prescrizioni (art. 20 c.p.p.min.), permanenza in casa (art. 21 c.p.p.min.), collocamento in comunità (art. 22 c.p.p.min.); misure educativo-trattamentali come la sospensione del processo per messa alla prova (art. 28 c.p.p.min.) e di tipo ripartivo, volte alla conciliazione e/o mediazione penale nelle diverse fasi del giudizio.
Il trattamento degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali realizza una presa in carico in stretta collaborazione con i servizi degli enti locali e delle aziende Asl, le comunità di accoglienza e le varie realtà di volontariato, fin dall’ingresso del minore nel circuito penale, per favorire una valutazione condivisa del progetto quadro finalizzato ad un recupero personale e sociale.
Nella fase delle indagini preliminari, esso fornisce al pubblico ministero e al giudice, informazioni sulle condizioni e sulle risorse personali, sociali e ambientali dell’adolescente, al fine di accertarne l’imputabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto da lui commesso, nonché disporre le eventuali misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili (art. 9 co.1 D.p.r. 448/1988).
I servizi ministeriali per i minori sono attualmente costituiti da:
a)                       ufficio di servizio sociale per i minorenni, operante su base distrettuale, che si occupa del soggetto con particolare riferimento al contesto di provenienza, con prevalente utilizzo della figura professionale dell’assistente sociale, integrati da quello di psicologo;
b)                      personale addetto agli istituti penali per i minorenni;
c)                       personale addetto a centri di prima accoglienza e comunità[8];
d)                      personale addetto agli istituti di semilibertà.
Tali servizi si esplicano nell’attività diagnostica e rieducativi sia nell’esecuzione delle misure cautelari, che in quelle sostitutive e alternative, facendo riferimento sia agli organi ministeriali che agli enti locali.
In particolare il ruolo dei servizi sociali nel processo dinanzi al tribunale dei minori, si svolge in distinti e tassativi momenti cui la legge fa espresso riferimento:
a)                       l’assistenza al minore in udienza (all’udienza preliminare come IN quella di convalida[9]) e obbligo di avviso ai servizi (artt.12, 18, 31 co.3, 33 co.4 c.p.p. minori), con all’art.7 c.p.p.min. dell’informazione di garanzia e del decreto di fissazione dell’udienza notificati a pena di nullità anche all’esercente la potestà genitoriale, al fine di poter consentire lo svolgimento dell’attività di sostegno e di tutela nei confronti del minore.   La mancata assistenza può avere delle conseguenze avuto riguardo all’osservazione della personalità[10] (art.6 c.p.p.min.) e alla adeguatezza delle scelte trattamentali penali adottate;
b)                       nel momento del giudizio, circa l’applicabilità e la scelta delle misure cautelari, con la verifica delle esigenze da salvaguardare (anche se ciò avviene sempre a posteriori);
c)                       nel momento dell’esecuzione della misura, in quanto il minore viene affidato al servizio ministeriale, in collaborazione con i servizi di assistenza dell’ente locale per sostegno e controllo (art.19 co.2 e 3; 20 co.1 c.p.p.min.), dove con il termine “controllo” deve intendersi una funzione di supervisione e di verifica della condotta del minore, in relazione al complesso degli obiettivi che gli sono stati imposti dalla misura cautelare e, dalle annesse autorizzazioni, segnalando il significato evolutivo e sociale del rapporto tra il minore e i vincoli giudiziari;
d)                      la valutazione circa l’occasionalità della condotta, requisito indispensabile per l’applicabilità dell’irrilevanza del fatto (art. 27 c.p.p.min), cosa che passa attraverso l’analisi conoscitiva del servizio;
e)                       la messa alla prova, che essendo incentrata sulla conoscenza del caso e sulla verifica preventiva dell’opportunità per il minore del ricorso a tale istituto, poggia essenzialmente sull’attività dei servizi (artt.28 c.p.p.min. e 27 disp.att.);
f)                       la struttura amministrativa dei servizi (artt.7, 8 c.p.p.min);
g)                       i meccanismi di coordinamento stabili fra i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e quelli locali (art.13) e i programmi di formazione comuni (art.14 c.p.p.min.).
 
Il normale servizio viene svolto dagli AS che intervengono sul minore, sulla famiglia, sul contesto sociale e culturale in cui sono immersi, dovendo fornire valutazioni circa le cause di disagio del minore che determinano il comportamento deviante.
Le tipiche aree d’intervento dei servizi sono di tipo diagnostico[11], prognostico e di trattamento.
Quest’ultimo consistente nel seguire l’andamento della misura alternativa alla detenzione, quale l’affidamento in prova o la sanzione sostitutiva della libertà controllata[12], come pure delle misure sia di sicurezza che cautelari, anche se nella lettera della legge manca la predisposizione di un coerente progetto dei compiti affidati ai servizi minorili della giustizia.
L’attività di sostegno va distinta dalla mera assistenza in udienza e non consiste nella sostituzione della figura della famiglia nei confronti del minore, ma il consiglio al minore nelle scelte di recupero. In regime di misura cautelare le figure referenti mutano al cambiare del tipo di cautela in atto.
Pertanto i servizi svolgono attività esecutiva e attuativa dell’interesse del minore (art.24 disp. att. c.p.p. min.), anche se l’esecuzione ha inizio dopo il compimento del diciottesimo anno di età, ciò per non riverberare – se possibile – le conseguenze nella vita adulta del soggetto.
            Nello svolgimento del p.p.m. si assiste – dunque – a un allargamento delle figure processuali tipiche e i servizi minorili assumono il ruolo di soggetto necessario, diventando coessenziali all’emissione del provvedimento. Tuttavia il servizio sociale non è parte processuale in senso tecnico-giuridico, ma l’adempimento del suo dovere di sostegno e di trattamento è il tramite di istanze provenienti direttamente dal soggetto minorenne.
 
            Il servizio sociale è anche un servizio di cura diretto al minore in situazioni di disagio o di compromissione. In tal caso il servizio sociale del Comune deve attivare idonee forme di intervento ed è responsabile della presa in carico. Il servizio titolare è direttamente chiamato a mettere in campo le risorse, le professionalità e le competenze necessarie per la costruzione e la realizzazione di un progetto quadro di intervento.
Nel caso di situazioni complesse, il servizio titolare della presa in carico ha la facoltà di richiedere la collaborazione dei servizi socio-sanitari presenti sul territorio. Tale collaborazione è necessaria per l’attuazione di interventi di competenza quali la diagnosi medica e psicologica e il trattamento terapeutico.
La valutazione diagnostica e prognostica, realizzata con gli strumenti propri del servizio sociale e delle altre professioni sanitarie, deve avere carattere multidimensionale in quanto deve tener conto delle caratteristiche individuali del minore.
 
 
Il diritto alla riservatezza e il rapporto fiduciario
 
            La norma cardine è rappresentata dall’art.13 co.1, che vieta la pubblicazione e la divulgazione di notizie e immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne coinvolto nel procedimento, cosa ribadita da pronunzie della Corte costituzionale[13], pertanto esiste un diritto del minorenne alla riservatezza, non liberamente disponibile da lui o dagli esercenti la potestà (artt.13 e 33 co.1 e 2 c.p.p.min.)[14].
            Qualora tale diritto venga leso opera l’art.684 c.p., con integrazione della condotta punita dall’art.326 c.p. nel caso di rivelazioni e utilizzazione di un segreto d’ufficio, si configura l’ipotesi di un delitto proprio a una condotta vincolata, che al di fuori del concorso può essere commesso solo da alcune categorie di soggetti tenute al segreto, tra cui compare il giornalista.
Il D.Lgs. 196/2003 affronta specificatamente la posizione dei minori (art. 50), soprattutto con riferimento al diritto di cronaca e alle attività giornalistiche, ribadendo il principio di tutela assoluta dei minori (art. 7 cod. deontologico giornalisti), potendo integrare anche il reato di diffamazione (art.595 c.p., che con la copertura dell’art.21 Cost. porta a operare l’art.51 c.p. quale scriminante[15]).   L’utilità sociale dell’informazione, laddove sussista un interesse pubblico ad apprendere la notizia, corrisponde alla verità oggettiva soprattutto, in relazione alla fonte dell’informazione e, in senso dinamico ad una valutazione ed esposizione dei fatti conforme allo scopo divulgativo, cosa che tende a prevalere sull’onore e la reputazione[16] poiché in vero non lede l'integrità di questi diritti e trova giustificazione nell'art. 51 c.p.
 
Qui voglio richiamare alcune riflessioni relative al rapporto fiduciario e la riservatezza nel lavoro degli AS dinanzi al Tribunale dei Minori.
Il perno è costituito dall’art.622 c.p., dove
Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
 
disposizione che va letta nel combinato disposto con l’art.311 c.p.p. (denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio):
Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.
Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.
            Il problema che si pone per l’AS concerne la testimonianza su attività coperte dal segreto professionale, per la conoscenza di reati che essi vengono appresi in qualità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, in considerazione del rapporto fiduciario intervenuto con le persone assistite.
            La soluzione – a livello giuridico – del problema, passa attraverso la lettura in combinato disposto di alcune norme, quali l’art.1 della l. 23.3.1993 n°84, istitutiva dell’albo professionale, che pone l’attività dell’AS in una funzione tecnico-professionale autonoma, senza però poter opporre il segreto professionale. 
            La seconda norma del combinato disposto è data dalla l. 3.4.2001 n°119, che ha formalmente disciplinato il segreto professionale cui sono tenuti gli assistenti sociali su quanto essi sono venuti a conoscenza
per ragione della loro professione, esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime di lavoro autonomo professionale.
 
Si estendono quindi agli AS le disposizioni contenute negli artt. 249 (facoltà di astensione) c.p.c. e 200 (segreto professionale) c.p.p, nonché le garanzie previste dall’art.103 c.p.p (per i loro difensori. Agli AS si applicano, altresì, tutte le altre norme di legge in materia di segreto professionale in quanto compatibili.
 
 
Riservatezza e reputazione tra cronaca e tutela in un procedimento minorile
 
In questa sede particolare attenzione si vuole dedicare al concetto di riservatezza e reputazione, interessi direttamente coinvolti per effetto di pubblicazioni reputate diffamatorie, con riferimento alle persone minorenni. Si può affermare che il minimo dell’onore – che nel reato di ingiuria viene considerato certo, basandosi su una media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore – nel reato di diffamazione dovrebbe trovare tutela per tutte quelle persone che in ragione del loro status sono più esposte e sensibili alle aggressioni da parte della cronaca[17].
Inoltre la diffusione di dati idonei a identificare un minore (anche adottato), viola la disciplina sulla protezione dei dati personali[18]. Il Garante Privacy, con l’aggiornamento della Carta di Treviso da parte del CdO Giornalisti (richiamato nel codice di deontologia dei giornalisti)[19], ha esteso gli obblighi anche al giornalismo on-line e multimediale[20].
 
 
Cronaca giudiziaria e ambito della tutela della reputazione del minore
 
Il diritto di cronaca può essere legittimamente esercitato anche quando la notizia riguardi soggetti minorenni, purché siano rispettati i limiti dell’interesse pubblico, della verità e della continenza. Le norme che stabiliscono il divieto di pubblicazione delle generalità, delle immagini e comunque di notizie idonee a consentire l’identificazione di un minore coinvolto in un procedimento penale (artt. 114 c.p.p.; art. 13 D.p.r. 448/1988) non costituiscono un limite insuperabile all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto tali disposizioni proteggono il diritto all’immagine del minore. Deve escludersi che la violazione del divieto di pubblicazione, sanzionata autonomamente dall’art. 684 c.p., integri automaticamente anche il delitto di diffamazione a mezzo stampa, che si fonda su presupposti diversi (Cass. sez. V, 18.10.2001 n°37667)[21].
            La Cassazione spiega come la persona del minore – che gode della tutela realizzata dal divieto di pubblicazione e divulgazione della sua identità – è sia quella del soggetto sottoposto a indagine/imputazione di reato, che una figura estesa fino a comprendere quella di un minore che sia persona offesa, danneggiata o testimone in qualsiasi procedimento penale. La possibile individuazione del minore attraverso la notizia, se pure soltanto indiretta, amplia – pertanto – sotto un profilo oggettivo, l’ambito di operatività del divieto opposto alla pubblicazione.    Viene a configurarsi un reato di pericolo, in quanto si fa riferimento a ipotesi in cui la norma attribuisca un maggior grado di probabilità empirica, in relazione alla commissione di un comportamento antigiuridico, a determinati soggetti qualificati dalla particolare attività da loro svolta o dal possesso e utilizzo di determinati strumenti, intendendo la potenziale capacità lesiva del soggetto che svolge attività giornalistica.
            E’ comunque ammessa la pubblicazione di dati giudiziari (art.4 co.1 lett.e D.Lgs. 196/2003), anche senza il consenso dell’interessato, nel presupposto dell’essenzialità dell’informazione riguardante fatti di interesse pubblico (art.137 co.3 D.Lgs. 196/2003 e artt.6 e12 cod. deont. giornalisti) e nella misura in cui i dati non siano relativi ad atti coperti dal segreto o comunque non pubblicabili per legge (art.114 c.p.p.), ponendo l’accento sull’azione del Garante privacy in seno all’accertamento di illeciti, al fine di non portare oltre le conseguenze lesive[22].
 
 
Prassi operativa dei servizi sociali
 
Con provvedimento del 28. 9.2001 n°11294/17385 il Garante privacy ha modificato la prassi operativa dei servizi sociali dei Comuni italiani, in quanto essi ritenevano legittimo negare ai genitori dei minori sottoposti alla loro osservazione, la conoscenza dei dati personali e dei relativi giudizi inerenti i minori, che trasmettevano solo al Tribunale per i Minorenni da cui avevano avuto l’incarico di svolgere le indagini nei procedimenti relativi alla decadenza dalla potestà genitoriale o all’affido di minori nelle famiglie di fatto.
Il Garante ha ordinato ai servizi sociali di mettere a disposizione del genitore i dati personali in possesso dell’Ufficio, specificando che i servizi sociali devono fornire non solo i dati personali, ma anche tutte le informazioni di tipo valutativo (giudizi, comportamenti, analisi, ricostruzioni di profili personali), rientrando nel concetto di trasparenza e di possibilità di controllo da parte dell’interessato.
Con ciò il termine “dato personale” ha assunto una diversa connotazione,
Quanto alle procedure di adozione (e nell’ipotesi di affidamento preadottivo), dove i Tribunali per i Minorenni hanno il potere di disporre l’effettuazione di indagini sullo stato di salute degli aspiranti genitori adottivi, il Garante ha ritenuto che non è conforme alla legge trasmettere le diagnosi di Aids, e più in generale i dati sulla salute dei potenziali genitori, al Tribunale per i minorenni e ha consigliato di adottare la prassi secondo la quale ciascuno degli interessati, informato dal medico circa le proprie condizioni di salute, provvede personalmente a trasmettere la documentazione al Tribunale.   Tale procedura – in tal modo – garantisce all’interessato la libertà di decidere se rimettere al Giudice i dati sul suo stato di salute, ai fini della valutazione sull’idoneità all’adozione, oppure se ritirare la domanda, evitando il prosieguo del procedimento e la conoscibilità dei dati, realizzando un adeguato bilanciamento tra l’interesse dei minori e il diritto degli adottanti al rispetto della propria dignità e riservatezza.
 
 
Trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute: il ruolo dell’AS
 
            Si tratta dell’organizzazione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute, in quanto dati raccolti dall’AS in seno a incarico specifico del Tribunale dei Minori o in procedimenti in cui siano coinvolti minorenni.
            L’art.83 D.Lgs. 196/2003 indica le misure ritenute necessarie e opportune, conformemente ai principi generali, per garantire il rispetto della dignità della persona e il massimo livello di tutela degli interessati in ambito sanitario. Sono tenute alla loro adozione gli organismi sanitari (sia pubblici che privati) e i servizi e le strutture di soggetti pubblici operanti in ambito sanitario o con competenza in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro.
            In particolare si devono osservare:
·                       il co.2 lett. e) del citato art.83, riguardo la dignità dell’interessato, soprattutto soggetti affetti da patologie come l’aids;
·                       il co.2 lett. c) e d), riguardo la riservatezza dei colloqui e nelle prestazioni sanitarie;
·                       il co.2 lett. i), riguardo alle regole di condotta per gli incaricati designati dal titolare del trattamento, ferme restando le norme in materia di segreto d’ufficio. Le misure organizzative sono trattate negli artt.30 e 35 D.Lgs. 196/2003 e nel punto 19.6 del disciplinare tecnico allegato b).
In tal senso deve essere predisposta un’informativa da fornire agli interessati (art.13).   Qualora manchi il consenso, determinate figure professionali possono acquisire i dati necessari a rivelare lo stato di salute di una persona, qualora vi siano rischi di incolumità fisica o di salute sia della stessa persona che della collettività.
 
 
L’azione dei servizi sociali e le iniziative della Procura nel quadro dei rapporti tra la protezione e la tutela giudiziaria dei diritti
 
Tenuto conto che la segnalazione non produce interruzioni nell’azione di protezione svolta dai servizi, in quanto il percorso giudiziario è solo eventuale e non sostituisce l’intervento sociosanitario, le segnalazioni incongrue con le competenze e finalità della giustizia non possono dare luogo a iniziative giudiziarie, in quanto governate da criteri di opportunità in funzione di finalità di benessere individuale e sociale/di prevenzione di fattori di rischio e sono collocate sotto l’egida del principio del beneficio per il minore.
Quando vi è una pronuncia di decadenza/sospensione della potestà, viene nominato un tutore cui compete la gestione delle responsabilità genitoriali. Se il provvedimento non è definitivo, i servizi – nell’ambito di quanto stabilito nel progetto quadro e nel piano educativo individuale – possono coinvolgere i genitori in relazione agli accertamenti e alle verifiche richieste dal Tribunale per le sue decisioni.
I provvedimenti di affievolimento della potestà, invece, sono in genere funzionali alla realizzazione di uno specifico intervento dei servizi previsto nel progetto quadro.
 
 
I   criteri   dell’esercizio   dell’azione civile da parte della Procura per i minorenni e il ruolo dell’AS
 
I diversi momenti in cui l’azione dell’AS è presente iniziano con:
–          informazioni al servizio sociale segnalante da parte della Procura, che si ha quando si ha o non si ha la presentazione di un ricorso per assicurare la trasparenza delle proprie decisioni e per evitare ogni fraintendimento che possa pregiudicare la continuità della cura del minore da parte del servizio, il quale potrà precisare e arricchire con un “seguito” la segnalazione valutata insufficiente/incongrua, facendo emergere i profili del caso che attengono alla tutela giurisdizionale dei diritti rilevanti in sede giudiziaria e continuando comunque a svolgere, con maggiore cognizione degli aspetti legali, i compiti di prevenzione e protezione dell’infanzia che gli competono.
–          informazioni nel corso del processo da parte dell’AG, sollecitandole ai servizi socio-
sanitari con riferimento a un procedimento in corso.
      La richiesta può riguardare gli interventi già svolti in precedenza/accertamenti e  
      attività compiute sulla base di un provvedimento del giudice, il cui contenuto viene        
      portato a conoscenza delle parti private e del pubblico ministero, nel rispetto del
      principio del contraddittorio.
–          informazioni dopo la definizione del processo qualora il tribunale pronuncia un
definitivo affidamento al servizio sociale e stabilisce che la situazione personale e familiare del minore sia seguita e sostenuta, restituendo così il caso al servizio titolare.   Il servizio realizza con le proprie risorse professionali e strutturali l’intervento progettato nell’ambito del regime giuridico stabilito dal decreto, adeguando autonomamente l’intervento socio-sanitario alla normale evoluzione del caso, compreso l’eventuale trasferimento del domicilio del minore.
Il servizio segnalerà al pubblico ministero minorile solo i fatti nuovi che richiedono anche la modifica del regime giuridico stabilito dal provvedimento, ovvero:
            • quando è escluso o attenuato il pericolo di pregiudizio per il minore;
• quando il pregiudizio per il minore si è aggravato, incidendo sui diritti anche relazionali della personalità.
            L’AS interviene anche nel provvedimento dinanzi al giudice tutelare e nell’iniziativa derivante da segnalazione dello stesso servizio sociale da parte della procura per i minorenni.
 
 
L’informativa agli AS quali testimoni in procedimento dinanzi al Tribunale dei Minori
 
Non è necessario dare l’informativa a terzi testimoni, terzi chiamati o altri soggetti di cui si abbia necessità di trattare i dati nell’ambito del processo – da parte di legali – di cui trattano i dati.
Il riferimento normativo è l’art. 13 co.5 D.Lgs. 196/2003 che, per l’ipotesi in cui i dati non siano raccolti presso l’interessato (art. 13 co.4), esonera dall’obbligo di rendere l’informativa all’interessato medesimo se il dato è trattato “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il tempo strettamente necessario al loro perseguimento”.
I dati sensibili relativi a terzi possono essere trattati, ove ciò sia strettamente indispensabile, per l’esecuzione di specifiche prestazioni professionali richieste da clienti (vedi autorizzazione generale del Garante per i professionisti).
E’ poi consentito trattare alcuni dati particolarmente sensibili di terzi soggetti (per la precisione i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale del terzo) solo se il diritto tutelato in sede giudiziaria è di rango almeno pari a quello alla riservatezza o alla protezione dei propri dati, vantato dal terzo o qualora venga da tutelato un diritto della personalità o un altro diritto/libertà fondamentale e inviolabile.   Il che implica una valutazione comparativa fra opposte esigenze e diritti.
Le stesse considerazioni vanno fatte per il trattamento di dati in attività propedeutica a quella giudiziale.  Prova assunta in violazione della normativa sulla privacy come prova illecita e – pertanto – deve ritenersi che sussista un limite generale all’assunzione e acquisizione delle prove nel processo, ed è da porsi in relazione all’eventuale illiceità della loro formazione o assunzione e alla eventuale indisponibilità della prova.
Pertanto, un dato è legittimamente trattato in un processo se rispetta le seguenti condizioni:
·             è trattato in modo lecito, conformemente alle disposizioni del codice della privacy nonché alle disposizioni del codice civile (il trattamento non deve essere contrario a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume);
·             è trattato secondo correttezza;
·             è trattato per scopi determinati (non è consentita la raccolta di dati come attività fine a se stessa), legittimi e compatibili con gli scopi per i quali sono raccolti;
·             è esatto, preciso e rispondente al vero e, se necessario, va aggiornato;
·             è pertinente (in relazione all’attività svolta), completo e non eccedente rispetto alle finalità di difesa;
·             è conservato per il tempo strettamente necessario in relazione alle finalità per il quale è raccolto.
Se non sono osservate queste condizioni il trattamento è illecito e i dati non possono essere utilizzati (art. 11 co.2).
Va segnalato che la giurisprudenza, e parte della dottrina, ritengono prevalente il diritto alla difesa rispetto alla tutela della riservatezza, argomentando la preminenza del diritto alla difesa dal rango costituzionale dell’art. 24 Cost. nonché dalle esenzioni rinvenibili agli artt. 13 lett. b) e 24 lett. f) D.Lgs. 196/2003.
Parrebbe tuttavia che detta considerazione, pur partendo da un presupposto esatto, non tenga in debito conto la tematica delle “prove illecite “ (quelle prove che sono inficiate di validità processuale).
Infine, l’utilizzo di documenti forniti dal cliente (e che contengono dati di terzi) per finalità di difesa in giudizio è consentito senza necessità di rendere informativa o raccogliere il consenso del terzo cui i dati si riferiscono.
In relazione peraltro alla sola corrispondenza, che si è ritenuto sussistere la giusta causa che esclude la punibilità del reato di rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 616 co.2 c.p.)[23].   Per l’acquisizione di documenti dalla pubblica amministrazioni., valgono le norme sull’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 59 e 60. Ciò è suffragato anche da un’opinione risalente, ma mai smentita[24], secondo cui “ (…) la discrezione che l’assistente sociale può e deve osservare nei confronti del suo datore di lavoro (per esempio in un servizio sociale d’industria), la testimonianza in tribunale di un assistente sociale di quartiere, di un servizio di casi individuali …”.   Non ha perso la sua attualità neppure Hamilton, che nel 1953 scriveva: “quando l’assistito rivela una situazione dannosa per la salute o il benessere pubblico, l’assistente sociale. ha la responsabilità di aiutare l’assistito a riferire lui stesso alle autorità competenti, così in situazioni di due o più utenti riguardanti uno stesso nucleo familiare ognuno dovrà essere separatamente aiutato.”[25].
Il segreto professionale investe anche i rapporti di collaborazione tra enti diversi; il trasferimento o la segnalazione di un caso a un’ altra figura soggettiva per l’ottenimento di servizi di cui l’utente ha bisogno, deve essere sempre effettuato con il consenso dell’utente stesso e fornendo solo quelle informazioni necessarie alla soluzione del bisogno, in quanto l’utente ha il diritto di contare sulla massima protezione nei rapporti professionali con l’AS e la trasmissione dei dati deve riguardare solo quelli che sono funzionali al motivo della segnalazione[26] e – quindi – su tutto il resto prevale il segreto, come è previsto in materia di protezione di dati personali.
            Peraltro è doveroso segnalare che, riconoscendo dignità nell’esercizio della professione di AS, cui alla l. 3.4.2001 n°119, il legislatore ha stabilito la facoltà di astenersi dall’esercizio dell’ufficio di testimone e l’obbligo del segreto professionale per gli AS iscritti all’albo. A essi si estendono le garanzie previste dall’art.103 c.p.p. per il difensore e si applicano altresì le disposizioni di cui agli artt.249 c.p.c. e 200 c.p.p.
            Laddove gli AS abbiano l’obbligo di relazione, questo prevale sul segreto, il quale deve ritenersi sussistente al di fuori di uno specifico dovere nel procedimento e fatto salvo il diritto di difesa.
 
 
Profili deontologici
 
Si segnala la diversa estensione dei concetti di segreto professionale[27] e di riservatezza, con riferimento all’organizzazione giudiziaria, in quanto il segreto professionale è un dovere soggettivo verso il solo cliente, di contenuto negativo e riguardante un fatto conosciuto in virtù del rapporto professionale che deve rimanere segreto, mentre la tutela della riservatezza dei dati è un diritto del cliente o del terzo con un oggetto ben specificato.
Questo non accade necessariamente per i dati personali riservati, poiché gli stessi possono riguardare soggetti verso i quali non si è tenuti ad alcun segreto e che possono essere conosciuti, pur rimanendo riservati, e su tale riservatezza l’interessato ha diritto di esercitare il controllo.
Il segreto può essere violato solo dal professionista o dai suoi collaboratori, la riservatezza può essere violata da terzi anche contro la volontà del professionista o dei suoi collaboratori.   Esso può essere oggetto di rinuncia da parte del cliente, mentre il consenso dell’interessato non rende legittimo il trattamento dei dati in violazione della normativa sulla riservatezza.
A ogni modo, l’AS non può – anche sotto il profilo deontologico – omettere di adottare le misure minime per la corretta conservazione dei dati, perché corrisponde alla necessaria osservanza dei precetti di legge, oltre che all’osservanza dei doveri di riservatezza e di correttezza nei rapporti col cliente.
Nessun dubbio in ordine alla sussistenza di responsabilità deontologica nelle ipotesi in cui l’AS violi una delle disposizioni penali della normativa previste come reato (art.167 e ss. c.p.).   Altra ipotesi è quella del trattamento illecito dei dati, in quanto la sua provenienza illecita espone a illecito deontologico.
Se il dato proviene dal cliente, sussisterà l’illecito solo se è provata la consapevolezza da parte dell’AS della provenienza illecita o se non sussistono ragionevoli circostanze di fatto che facciano presumere il legittimo possesso del dato da parte del cliente.
Il dato di provenienza lecita può far nascere responsabilità deontologica solo se il suo utilizzo avviene per scopi che non siano compatibili rispetto a quelli per cui è stato raccolto o se viene dimesso senza alcun rapporto di pertinenza con l’oggetto della pratica, se non è aggiornato, non è esatto, è incompleto o eccedente rispetto alle finalità, e infine perché non più utilizzabile in quanto sono cessati gli scopi per i quali è stato raccolto.
Altra ipotesi che dà luogo a responsabilità deontologica è l’avere trattato dati senza avere reso la informativa o senza avere raccolto il consenso, quando necessiti.
Si osserva infine che molti degli obblighi introdotti dalla normativa sulla privacy non sono nuovi alla deontologia (il dovere di probità, dignità e decoro, il dovere di lealtà e correttezza, il dovere di segretezza e riservatezza, il dovere di verità), con conseguenze di carattere disciplinare.
La deontologia – in questa veste – assume rilevanza in quanto consiste in un servizio reso all’utenza, da intendersi come strumento di valutazione dell’effettività delle sue prescrizioni.
 
 

[1]              Corte cost., sent. 130/1963, 10/1966, 198/1975 e 222/1983 e al contrario, quanto ai reati militari: Corte cost. 206/1987.
[2]              Corte cost., sent. 46/1978 e 128/1987.
[3]              Corte cost. sent. 109/1997.
[4]              Tale attività pone problemi di ricerca delle forme più adatte da assegnare.
[5]              L’art. 1 l. 328/2000 stabilisce che per “servizi sociali si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”.
[6]              Cfr. l. 328/2000.
[7]              Il progetto quadro riguarda l’insieme coordinato e integrato degli interventi sociali, sanitari ed educativi finalizzati a promuovere il benessere del bambino o del ragazzo e a rimuovere la situazione di rischio di pregiudizio o di pregiudizio in cui questi si trova. Tali interventi sono rivolti direttamente al bambino, ma anche alla sua famiglia, all’ambito sociale e alle relazioni in essere o da sviluppare fra famiglia, bambino e comunità locale. Il progetto deve creare le premesse materiali, sociali e psicologiche per avviare un percorso individuale e familiare che favorisca l’adeguata ripresa del processo di crescita del minore e riduca i rischi di uno sviluppo patologico.
[8]              Le comunità collaborano con i servizi titolari alla redazione e realizzazione del Progetto quadro, rispettando il regime giuridico del minore di età, definito dalle decisioni dell’Autorità Giudiziaria.
[9]              In tal caso può essere assistito dagli educatori carcerari.
[10]             Lo scopo dell’accertamento è valutare in modo il più possibile obiettivo le condizioni psichiche del soggetto al momento della commissione del reato e dell’insieme delle relazioni che hanno influito su di esso, ponendosi – quindi – in un’ottica fenomenologia e osservativa a prescindere dai giudizi di valore.   L’art.28 c.p.p.min. dispone che il minore venga affidato sia per l’opera di osservazione che di trattamento e sostegno, ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, anche in collaborazione con i servizi locali.
[11]            Con la stima dell’informazione da parte dei servizi, al cui esito di constatazione di pregiudizio o rischio di pregiudizio con rischi di pericolosità oggettiva del soggetto minore. Gli interventi di cura si articolano secondo alcune fondamentali fasi:
                a. l’individuazione del servizio titolare della presa in carico e conseguentemente dell’operatore di riferimento per il minore;
                b. la comunicazione dell’avvio dell’intervento di cura ai diversi soggetti che saranno coinvolti e, quando possibile, l’acquisizione della loro collaborazione;
                c. la realizzazione di una prima valutazione della situazione di vita del minore e una stima prognostica della sua possibile evoluzione;
                d. l’elaborazione, la realizzazione, la verifica periodica e la chiusura del progetto quadro da parte del servizio titolare in collaborazione con gli altri servizi;
                e. l’eventuale ricorso all’attività di consulenza dell’ufficio del pubblico tutore dei minori competente per territorio,
                in caso di difficoltà di comunicazione e collaborazione tra le parti.
[12]             Secondo Trib. Minori Milano, 7.8.1981, in Foro Italiano, 1982, 136, per il condannato minorenne il programma di trattamento previsto dall’art.13 ord. pen. può essere predisposto prima dell’irrevocabilità della pronunzia.
[13]             Corte cost., sent. 17/1981.
[14]             E’ sempre necessario dare l’informativa ai clienti: può essere data anche in forma orale e, ove vi siano difficoltà a renderla direttamente, può anche essere spedita. Per il trattamento di dati che riguardano minori l’informativa va resa a chi esercita legalmente la potestà. Nelle ipotesi di potestà esclusiva (affidamento a un solo genitore, riconoscimento del figlio naturale ad opera di un solo genitore, casi di impedimento dell’atro genitore ex art. 317 c.c.) l’informativa va resa al solo genitore che esercita la potestà. Anche nei casi di potestà congiunta, la rappresentanza legale dei minori (negoziale e processuale) spetta anche disgiuntamente ai genitori per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. In tali casi riteniamo sia sufficiente dare l'informativa al genitore che esercita disgiuntamente la rappresentanza.
[15]            La giurisprudenza dominante si è espressa in numerose occasioni pervenendo a una tipizzazione. I giudici della Consulta hanno fissato i tre requisiti di liceità della cronaca: 1) verità e verosimiglianza della notizia pubblicata; 2) la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della notizia; 3) continenza della notizia, ossia una sua esposizione obbiettiva e serena.
[16]             L'onore e il decoro della persona si identificano con un sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale, disegnando una somma di valori comuni a tutti, che l'individuo si auto attribuisce. In senso oggettivo l'onore è quello della dignità fisica, intellettuale o sociale dell'individuo. La reputazione si identifica con il senso di dignità personale che il gruppo sociale attribuisce all'individuo identificato con un particolare contesto storico (Cass. Pen. sez. V, 201054/1995) e il suo interesse è tutelato dall’art.595 c.p. nelle fattispecie di diffamazione e riceve una tutela speciale rispetto al diritto all’identità personale, la cui lesione costituisce invece un illecito civile quando l’effettiva identità viene distorta, alterata od offuscata anche sotto il profilo intellettuale, politico, religioso e sociale (Cass. sez. V, sent. 193494/ 1992).
[17]             Cass. Sez. II, 129360/1974. Sul punto anche: Garante privacy, provvedimento 31.1.2008; Bollettino n°86, settembre 2007. (doc. web. n°1445858). Quanto agli invalidi civili: Garante privacy, bollettino n°81, marzo 2007.
[18]             Garante privacy, Comunicato stampa 5.5.2005 e Newsletter 28.10.2005, con specifico riferimento al minore adottato.
[19]             In G.U. 13.11.2006 N°264 E Garante Privacy, Deliberazione 26.10.2006.
[20]             Garante privacy, provvedimento 11.10.2006.
[21]             Fatta eccezione per i casi in cui sia il Tribunale dei Minorenni o lo stesso minore maggiore dei sedici anni ad autorizzare la pubblicazione
[22]             Sul punto anche: Trib. Milano 22.6.2006 n°6445.
[23]             Cass. pen. 10.7.1997 n°8838, dove il caso in cui il marito aveva utilizzato la corrispondenza bancaria indirizzata alla moglie, dalla quale viveva separato di fatto, producendola nel giudizio di separazione personale, pendente con la stessa, quale mezzo di prova per contrastare la richiesta di assegno di mantenimento.
[24]             L.De Bray, Servizio sociale e delinquenza, Milano, 1970.
[25]             G.Hamilton, Teoria e pratica del servizio sociale, Società Editrice Universitaria, 1953.
[26]            Per “segnalazione” s’intende una comunicazione dei servizi responsabili della protezione e cura di un minore di età finalizzata ad informare l’Autorità giudiziaria di una situazione di rischio di pregiudizio o di pregiudizio in cui egli si trova e che incide gravemente sui suoi diritti, anche relazionali, tra i quali il diritto alla vita e alla integrità psicofisica (artt. 6 e 19 Convenzione di New York; art. 32 Cost.), il diritto a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1, l. 149/2001), il diritto alla bigenitorialità (art. 1, l. 54/2006), il diritto a non essere allontanato dai genitori contro la loro volontà, salvo una decisione giudiziaria presa in conformità con le leggi di procedura applicabili (art. 9 Conv. New York).
[27]             Art.622 c.p., che punisce chiunque, avendo notizia per ragione della propria professione di un segreto, lo rivela senza giusta causa o lo impiega a proprio o altrui profitto, se dal dato può derivare nocumento. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. La rivelazione del segreto, qual è la richiesta di una testimonianza, viene superata con la facoltà di astensione prevista dall’art. 200 c.p.p.