Viel G., Servizio Sociale e complessità, Maggioli Editore, 2016
Con molta avvedutezza l’Autore ha fatto precedere dal prof. Giuseppe de Rita e dal prof. R. Maggian la pubblicazione e, quindi viene posto uno sfondo di eccezionale rilievo, da una parte sull’evoluzione e sullo stato del Servizio Sociale, secondo una mirabile sintesi svolta da De Rita – in cui viene senz’altro sottolineata la fatica di una professione, quale quella dell’assistente sociale, non sclerotizzata in risposte pre-definite, ma alimentate dal continuo senso della ricerca e della continuità del processo di autocoscienza, di autorganizzazione, di autodominio, al centro del quale vi è la “persona” – e dall’altra parte dal riconoscimento della complessità del lavoro dell’assistente sociale, che svolge la propria professione in una dimensione polidisciplinare che lo induce comunque a considerare il Servizio Sociale quale scienza in grado di gestire la complessità propria di un percorso in cui si determina la relazione positiva fra operatore sociale e persona, per giungere, nel comune cammino, a nuove soluzioni di vita, e in cui è molto importante e fondamentale il senso della ricerca e della funzione di catalizzatore e facilitatore dell’empowerment.
Entrando nello specifico della pubblicazione, l’Autore in via preliminare affronta il tema della complessità: l’analisi è svolta richiamando con assoluta efficacia il suo significato etimologico, riprendendo uno studio di E. Morin, “Introduzione al pensiero complesso”, da cui si evince il rapporto stretto e inscindibile fra le varie relazioni che la compongono: in definitiva “l’acquisizione da parte dell’assistente sociale di un abito mentale che comprenda la multidimensionalità che sappia relativizzare e nello stesso tempo valorizzare le passioni e le posizioni personali, che sappia pensare in termini di connessioni invece che di disgiunzioni, e quindi una attitudine strategica centrata sulla capacità auto-organizzativa.
Entrando nel merito del rapporto tra Servizio Sociale e complessità, viene innanzitutto illustrata con l’apporto di vari studiosi (A.Campanini, M. Dal Pra Ponticelli, M. Payne, E. Morin, P.P. Donati, E. Allegri, per citarne solo alcuni) sia la natura e la collocazione dello stesso Servizio Sociale nel contesto delle professioni considerate “forti” (medicina, psicologia, sociologia), riprendendo la missione “trifocale” della professione, verso la persona, verso le istituzioni pubbliche, verso la comunità, secondo la magistrale definizione della Prof.ssa Dal Pra Ponticelli, sia la dimensione propria del Servizio Sociale che presuppone e postula nel suo approccio multiprofessionale la complessità quale componente essenziale del lavoro sociale proprio dell’assistente sociale.
In base all’esperienza professionale vissuta dall’Autore nel Consultorio familiare “Friuli” di Udine, si desume con chiarezza la funzione di consulenza propria dell’assistente sociale e che lo stesso Consultorio familiare si pone come organizzazione complessa, che si articola nell’apporto coordinato delle varie professioni, e quindi “lavorare nei vasti orizzonti del bene comune, non disgiunto dal bene di ognuno”.
L’ultima parte del saggio è dedicata al “sapere, saper fare, saper essere nella complessità”, e quindi al modo con cui l’assistente sociale nel rapporto con le persone promuove la scoperta di nuove connessioni, co-produce senso e significato, aiutando la persona ad uscire dal recinto.
Vengono quindi (secondo una “antica” tradizione inaugurata dall’AAI negli anni ‘50, che pubblicava specifici “casi” di studio oggetto di dibattito e di approfondimento da parte degli studenti assistenti sociali) esposti casi che confermano la funzione dell’assistente sociale che adopera strumenti professionali adeguati e basati sulla complessità della conoscenza, per determinare sia il “filtro creativo”, basato sull’osservazione, sia il ruolo della narrazione e dell’ascolto, sia l’illustrazione di casi di complessità debole e di riflessioni in ordine alla consulenza nell’ottica della complessità.
Il saggio, quindi, si pone quale prezioso documento di conoscenza e di riflessione sulla complessità della professione dell’assistente sociale di “frontiera”, che opera nel consultorio familiare e proprio il pensiero complesso, per come viene acquisito ed elaborato, può offrire al Servizio Sociale un contributo efficace al suo sviluppo di scienza dell’aiuto alle persone in condizione di disagio.
E’ raccomandabile la sua utilizzazione sia in sedi formative che in appositi eventi e seminari volti a promuovere e rilanciare le politiche familiari secondo lo spirito che già nel 1975, ossia quaranta anni fa, portò alla conquista sociale e civile della rete dei consultori familiari.
Luigi Colombini