Burgalassi M., Politica sociale e welfare locale, Carocci Editore, 2012
Quaranta anni fa, nell’empito di un disegno riformatore avviato con i primi governi di centro-sinistra e con il contestuale avvio delle Regioni, fu posta mano ad una “politica delle riforme” che aveva due capisaldi di riferimento: la programmazione (espressa nel documento “Progetto ‘80”) e il nuovo sistema di sicurezza sociale (basato sulla previdenza, sanità, assistenza); a corollario di tale complessa azione di grande respiro, era posta la politica territoriale dei servizi, che trovavano il loro riferimento istituzionale nelle Regioni.
A distanza di tempo, la presente pubblicazione di Marco Burgalassi, dell’Università Roma Tre, attualizza in effetti ciò che è stato il percorso istituzionale e normativo nel frattempo intervenuto, soffermandosi in particolare sul valore e sul ruolo della “comunità” intesa quale sede ottimale per lo sviluppo del welfare locale e della democrazia, che trova il suo pieno alimento nella partecipazione.
Rispetto ad un quadro di riferimento che negli anni ‘70 era connotato diversamente, lo scenario di fondo è rappresentato da quello che l’Autore indica nel “doppio movimento del sistema di protezione sociale”, che trova il suo corrispettivo nell’emergere del welfare locale. Tale doppio movimento, a fronte delle condizioni strutturali che vanno emergendo (invecchiamento della popolazione, precarizzazione del ciclo di vita, crisi della famiglia, nuova configurazione dei bisogni) è caratterizzato da una parte da una strategia di contenimento, con interventi di carattere finanziario e dall’altra di una prospettiva di sviluppo. E’proprio in tale prospettiva di sviluppo che va a collocarsi il welfare locale, che si colloca nella dimensione della sussidiarietà, che concerne sia i rapporti fra le istituzioni (verticale) sia i rapporti fra le istituzioni e la società civile (orizzontale).
In tale contesto le stesse politiche di benessere si connotano nel passaggio da un sistema di governement (azione amministrativa interna alla istituzione competente) a quello di governance (azione promossa dalla istituzione competente volta a coinvolgere, a coordinare e gestire tutti i soggetti interessati al perseguimento del welfare locale).
Lo stesso welfare locale si caratterizza quale promotore di benessere e di rinnovato rapporto con la società civile, che trova, oltre che nella governance, nella programmazione e nella partecipazione i pilastri fondamentali.
La programmazione si svolge sulla base delle scelte politiche e delle azioni conseguenti quanto a definizione degli obiettivi, individuazione delle risorse, dei percorsi.
La partecipazione, intesa quale intervento di un soggetto volto a determinare gli obiettivi della collettività, il modello di convivenza, la destinazione delle risorse (Gallino), costituisce la condizione ottimale per permettere in ambito comunitario il perseguimento degli obiettivi di politica sociale.
Passando ad una analisi critica del welfare locale in Italia, viene sottolineato lo squilibrio esistente fra le prestazioni di carattere monetario (gestite a livello centrale) e il sistema dei servizi sociali (gestiti a livello locale).
E’ con la legge n.328/2000 che si è comunque avviato un processo volto a potenziare il sistema degli interventi e dei servizi sociali, con l’individuazione dell’“attore istituzionale locale” che svolge la sua azione assieme ai soggetti della società civile.
Peraltro, se tali sono le prospettive che sono state aperte con la suddetta legge, la crisi intervenuta nel primo decennio con le conseguenti minori risorse e la “marketizzazione delle forme di relazione che presiedono alla produzione e all’erogazione delle prestazioni” portano ad un declino e ad un arretramento sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Il depotenziamento e restringimento della rete delle prestazioni sta quindi portando ad una crisi del welfare locale.
Riprendendo il tema della programmazione, nel “trentennio glorioso” (1945-1975), essa stessa ha caratterizzato la politica sociale, intesa, in estrema sintesi, quale processo attraverso il quale vengono individuati gli obiettivi, sono definite le strategie per la loro realizzazione e quindi i percorsi e i mezzi idonei al loro conseguimento.
A livello locale la programmazione si lega al concetto di governance sopra indicato, e si svolge più concretamente nei seguenti aspetti: a) colloca il governo locale in un ruolo centrale con il coinvolgimento della società civile; b) definisce soluzioni condivise; c) negozia le esigenze pubbliche e private; d) prevede la promozione e il sostegno di forme di collaborazione e cooperazione fra i diversi attori; e) mette al centro la dimensione partecipativa; f) valorizza le potenzialità di supporto al processo programmatorio locale
Secondo uno schema acquisito e verificato, l’Autore mette in evidenza che nel processo programmatorio trovano compimento cinque tipi di attività: politica; osservativo-interpretativa; comunicativo-dialogica; decisionale; organizzativa.
Soffermandosi sul significato e la portata della programmazione sociale, viene ripreso quanto prospettato nella legge n.328/2000 in ordine al piano nazionale (art. 18) e ai piani di zona (art. 19), specificandone il valore e la portata: il piano di zona, inteso quale strumento con precise finalità strategiche, persegue i seguenti obiettivi: favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili; promuovere assetti di politica sociale praticabili, condivisi e appropriati; far dialogare e cooperare fra loro i diversi attori pubblici; coinvolgere e responsabilizzare attori pubblici e privati.
La partecipazione costituisce l’altro riferimento fondamentale per lo sviluppo del welfare locale, e in definitiva la stessa viene inquadrata nel perseguimento dei seguenti obiettivi: Empowerment, Collaborazione, Coinvolgimento, Consultazione, Informazione. E’ lo stesso attore istituzionale che in tale contesto assume un ruolo strategico e propulsivo, anche nella prospettiva di conferire alla partecipazione la propria capacità di incidere sulle decisioni.
In tale contesto una particolare attenzione viene data alla partecipazione del “Terzo Settore” individuato nel volontariato e nella cooperazione.
L’ultima parte del saggio è dedicata all’analisi critica dello stato attuale del welfare, caratterizzato da una parabola che, partendo da un modello di protezione sociale basato sulla monetizzazione e sulla famiglia, attraverso una decisa azione volta a potenziare il ruolo degli enti locali e la territorializzazione dei servizi sociali – promosso dalla legge n.328/2000 – è attualmente caratterizzato da una profonda crisi.
In effetti, secondo l’Autore, il sistema italiano di protezione sociale è caratterizzato da un modestissimo rilievo che in esso assumono i servizi sociali.
Quand’anche la legge n.328/2000 abbia determinato comunque il rilancio della politica dei servizi sociali, si sta determinando una “parziale deresponsabilizzazione degli attori istituzionali rispetto ai nodi specifici della politica sociale”, come dimostra il libro bianco governativo del 2009, e il progressivo contenimento della spesa.
Si assiste in effetti ad un tendenziale disimpegno degli attori pubblici dall’impianto universalistico del welfare locale, con la definizione al suo interno del Terzo Settore indicato quale principale gestore degli interventi pubblici e della programmazione locale.
In tale contesto, in un nuovo assetto dei servizi sociali, le prospettive di un passaggio, attraverso la piena responsabilizzazione del singolo circa i risultati del processo di aiuto, al mercato sociale che fa dell’utente un cliente, porta ad una assoluta difficoltà di fruizione reale dei servizi sociali.
Infine con tale prefigurazione del mercato sociale il professionista dell’aiuto – l’assistente sociale – si vede indebolito della sua identità e delle sue funzioni, e il suo lavoro si misura con nuove difficoltà e nuovi rischi: in particolare un “potenziale cortocircuito deontologico, che mette i professionisti dell’aiuto nella condizione di dover realizzare interventi che corrispondono a strategie contrastanti con i fondamenti della professione e inconciliabili con il suo orizzonte etico.
In conclusione, il saggio del Prof. Burgalassi, ampiamente documentato sullo stato del welfare in Italia, mette in allarme sulla condizione attuale del suo stesso modo di collocarsi, sul piano istituzionale e programmatorio, nel contesto delle politiche sociali, e sul ruolo assolutamente discutibile del mercato sociale nelle sue espressioni organizzate, in una dimensione concettuale ed operativa che determina l’indebolimento della professione del professionista dell’aiuto, l’assistente sociale.
Luigi Colombini