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Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma – Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma

Connell R., Corradi L., Il Silenzio della Terra. Sociologia postcoloniale, realtà aborigene e l’importanza del luogo, Mimesis Edizioni, Milano, 2014

Un libro insolito, prodotto da due Autrici che hanno esperienza pluridecennale nella formazione (la sociologa australiana Raewyn Connell) e nelle scienze del servizio sociale (Laura Corradi dell’Università della Calabria) che ci fa riflettere su quanto i problemi presenti (migrazioni, razzismo, prostituzione,…) siano il prodotto del passato coloniale. E che sia necessario rivisitare la teoria sociale per poterli capire pienamente, a partire dalla decostruzione della nostra prospettiva ei ex-coloni. Per far ciò, esse sostengono che è necessario guardare alla produzione teorica dei sud del mondo. «La teoria postcoloniale di cui abbiamo più bisogno è proprio quella di studiosi/e […] che non rappresentano la scienza sociale prima del colonialismo, ma che si sono formati in risposta al colonialismo e alle sue dinamiche di oppressione» (p. 41). Questo è l’intento del volume di Raewyn Connell e Laura Corradi: allargare lo sguardoverso ‘saperi’ altri decostruendo il sapere egemonico per dare spazio e voce all’altro.

Il testo è suddiviso in due parti: la prima – scritta da Laura Corradi – nella prima viene introdotto il tema della sociologia postcoloniale – mentre la seconda è propedeutica al saggio “The Silence of the Land” di Raewyn Connell – già pubblicato per la prima volta nel 2007, tradotto da Laura Corradi. La quale riprende alcuni degli autori più importanti della letteratura postcoloniale: William Edgard Burghardt Du Bois, Cyril Lionel Robert James, Frantz Fanon, Aimé Césaire, Edward Said, Albert Memmi, Kwame Nkrumah, Maryse Condè, Homi K. Bhabha, Gayatri Chakravorty Spivak (pp. 14-23).

Laura Corradi – pur rimanendo consapevole della difficoltà di darne una definizione – sostiene che la prospettiva postcoloniale debba guardare alle modalità di produzione della conoscenza dei popoli subalterni. L’approccio postcoloniale «ribalta completamente le prospettive di conoscenza dell’uomo bianco: il primato della razionalità sostenuto dall’Illuminismo, il pensiero dicotomico occidentale (che è alla base del nostro concetto di gerarchia) gli assunti economici ‘sviluppisti’, che non tengono conto dei limiti della natura e degli esseri umani» (p. 24). L’autrice parla di «invisibilizzazioni funzionali» (p. 59-60), riferendosi a due processi: le forme di non riconoscimento dell’intellettualità subalterna e la produzione di studi dal sud del mondo. Per quanto concerne le forme di non riconoscimento, il rimando è all’occultamento dei saperi; tale processo si collega strettamente al secondo, ovvero al primato del sapere geopolitico del nord del mondo. Questo produce, secondo Laura Corradi, «una doppia cancellazione» (p. 47), sia nell’esperienza storico-sociale dell’essere umano, che nella produzione di studi e ricerche nelle scienze sociali di persone non bianche. E all’utilizzo inconsapevole di concetti eurocentrici come modernità. Su cui l’autrice si sofferma a lungo.

In riferimento al concetto di modernità multiple, spesso visto come panacea – l’Autrice lo critica nelle sue conclusioni (p. 96), parlando di ‘addomesticamento’ delle teorie postcoloniali. E’ possibile riconoscere l’importanza del volgere lo sguardo oltre l’Occidente; tuttavia non vengono messi in discussione dai sostenitori delle modernità multiple gli assunti teorici sui quali esso si basa, sui quali è stato costruito lo stesso concetto di modernità. «Non si può fare teoria postcoloniale senza riconsiderare l’intero apparato teorico-concettuale delle scienze sociali. Se la sociologia uscisse (davvero) dal positivismo, abbandonasse presunzioni di oggettività e si affrancasse dal mito della razionalità, potrebbe creare lo spazio per epistemologie diverse, imparando ad ascoltare umilmente» (pp. 96-97).

Una relazione importante presente nel testo è quella tra femminismo e nazionalismo. Il nazionalismo – insieme assegna un ruolo a ciascuno (normale/anormale, uomo/donna, nativo/straniero), al fine di assicurare il controllo. La donna, in questo quadro, assume un ruolo passivo, simbolo nazionale della famiglia e della rispettabilità. Laura Corradi utilizza i contributi più importanti del femminismo postcoloniale – ovvero di coloro che hanno messo in discussione l’etnocentrismo del femminismo bianco e occidentale, introducendo l’intersezionalità nel dibattito sulla razza e il razzismo – e sottolinea l’importanza di tale dibattito stesso all’interno del campo di studi.

L’Autrice inserisce tale concettualizzazione nel discorso delle scienze sociali, nel dibattito scientifico e nel campo di studi e di sapere dell’Accademia, sollevando delle domande che lo stesso lettore non può esimersi dal porsi scorrendo le pagine del testo: ‘come ha reagito la sociologia globale di fronte al pensiero critico postcoloniale? È possibile costruire una sociologia davvero postcoloniale in società che non si sono mai pensate come prodotto del colonialismo?’ (pp. 30-31). Laura Corradi risponde al primo quesito prendendo in considerazione quanto avvenuto nel contesto statunitense: l’autrice sostiene che dopo una prima fase di ‘illusione’ prodotta dal pensiero postcoloniale nella quale si riposero speranze di cambiamento per le scienze sociali – nei Cultural Studies, African-American Studies e nei Native-American Studies – vi fu la consapevolezza della lentezza e della lunghezza del processo di cambiamento stesso. Invece, nel ‘caso italiano’, balza all’occhio la sua (in)visibile storia coloniale: marginale nelle scuole, nelle università, nei testi – ma visibile sui nomi delle strade di molte città.

Il libro stimola molte domande, alle quali l’autrice risponde soltanto parzialmente – mentre solleva volutamente questioni critiche sulle quali riflettere, riconoscendo l’importanza di interrogarsi sulla necessità di una autoriflessione collettiva nei contesti accademici. Il saggio della Corradi prosegue portando – gradualmente – il lettore verso il tema delle realtà aborigene e della terra – e conclude con il saggio ‘Il silenzio della terra della Connell.

Le realtà aborigene sono spiegate come legate al luogo, al rapporto con la natura e alla loro conoscenza. Tramite la relazione con essa viene costruita la teoria – fatta di rituali, gesti, narrazioni, vita quotidiana. La terra è un tema importante nella sociologia della Connell, intesa come generatrice di conoscenza e importante per le rappresentazioni della società. Ed è per questo motivo che il suo saggio si arricchisce di esempi su luoghi, popoli, pratiche, culture, saperi. Al tema sono legate le lotte per i ‘diritti della terra’ – fondamentale secondo la Connell per comprendere la vita contemporanea delle realtà aborigene. Inoltre, l’autrice si domanda se tale esperienza di relazione profonda con la terra possa essere vissuta anche dai coloni bianchi, ed elabora una risposta riportando – come esempio – un episodio personale di ‘luoghi’ vissuti in prima persona (p.111).

Un ulteriore concetto che l’Autrice riprende in tale saggio è quello di spossessamento – ritenuto particolarmente significativo dalla Connell e tuttavia preso poco in considerazione dalle scienze sociali. Per comprendere questo concetto risulta indispensabile pensare alla terra, come approccio di studio e di conoscenza, come metodo. «Trascurare la terra non è solo una scelta teorica fra le altre: essa emerge come una delle ideologiche di una società neoliberista» (p. 117). La Connell conclude il suo intervento presentando la dialettica tra luogo e potere, ove la colonizzazione e la terra assumono un ruolo centrale e sottolineando come i processi di globalizzazione ne riconfigurino lo spazio, mercificandolo.

L’approccio postcoloniale, dunque, come critica allo sviluppo e all’etnocentrismo, come contestazione alla metafora dello spazio e del tempo nel discorso occidentale – di cui la definizione di ‘terzo mondo’, ad esempio, segnala non soltanto una distanza fisica ma, soprattutto, una distanza simbolica – rappresenta il ‘cuore’ del testo. Parlare di culture Altre è importante per ripensare al discorso dominante come pratica non innocua e priva di significati; come sosteneva Sardar, il potere dell’Occidente sta proprio nel teorizzare. L’identità è un costrutto culturale che si edifica sempre in rapporto a qualcosa d’altro, al ‘diverso’. In questo caso l’altro – inteso come soggetto collettivo – diventa l’Occidente, come discorso universalizzante ed etnocentrico, nell’accezione Foucaultiana.

Tale contributo, nel panorama culturale italiano, invita a riflettere sull’ovvietà del nostro sguardo: non solo verso l’Altro ma anche verso la conoscenza stessa, intesa come pratica universale, oggettiva e dicotomica con la quale siamo abituati a vedere gli altri.

Angela Tiano